Il Sabato nel paese più bello del Mondo


Dal primo ottobre a fine giugno si andava a scuola. E’ vero c’erano le vacanze per Natale, Carnevale, Pasqua ma a scuola si andava dal lunedì al sabato e poi la domenica c’era pure il catechismo. Era bello il sabato più he la domenica e ci fu quella famosa poesia di Leopardi che ce lo ricordava ogni volta. La poesia era “il sabato del villaggio”.
Il sabato di fare i compiti non se ne parlava proprio. Io lo passavo a giocare per strada. La bella strada, la compagna dei miei giochi, la palestra della mia vita. Il sabato a sera c’era la tv con il suo varietà. Prima di tutto Canzonissima seguitissima in casa mia. Mia madre adorava la musica leggera, i cantanti, la gara e la lotteria di capodanno.
Volava il sabato, ma fintanto che era Sabato c’era la certezza che il giorno dopo non si sarebbe dovuti andare a scuola. Era pieno di bellezza il sabato perché c’era la certezza della festa. C’era un senso di appagamento e di tranquillità che è un’emozione stupenda perché ti fa sentire sicuro, totalmente sicuro.
Poi sarebbe giunta al domenica con la messa delle 11 e poi il tabaccaio per le figurine e ancora il pomeriggio al catechismo. Ricordo che il catechismo lo facevo nella sagrestia della Chiesa di Sant’Elia. La piazzetta accanto alla chiesa era di terra battuta e nelle crepe delle mura si nascondevano delle lucertole bellissime. Noi bambini nell’attesa di entrare le catturavamo. Povere lucertole!
Infine al sera al Cinema e poi a casa per lo sceneggiato tv.
Il giorno dopo di nuovo a scuola per aspettare un nuovo sabato.
Ho riletto oggi la poesia di Leopardi e a quest’età l’ho capita. Già l’ho capita oggi e guarda caso mi sono anche commosso. Sono davvero sorpreso dalla valanga di immagini che si sono create nella mia mente leggendo quelle parole scritte da questo sconosciuto di Recanati. Mi sono commosso. Leggila vedrai che rimarrai sorpresa o sorpreso anche tu.
Antonio Bruno

Giacomo Leopardi
- I CANTI
XXV - IL SABATO DEL VILLAGGIO             

La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù da' colli e da' tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
E' come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa

Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

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