CHI SONO LE VOLPI ED I LEONI DI SAN CESARIO DI LECCE?

 

CHI SONO LE VOLPI ED I LEONI DI SAN CESARIO DI LECCE?

Antonio Polito ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano “Il Corriere della Sera” di oggi 1° settembre 2023 nel quale riporta la descrizione DELL’ANTAGONISMO O COMPETIZIONE O CONCORRENZA tra i cittadini che votano lo stesso partito:

“Si possono creare le condizioni per quell’antagonismo tra la Volpe e il Leone che Vilfredo Pareto aveva preventivato, facendo sua una metafora del Machiavelli: le volpi, cioè le élite, sono brave ad adattarsi al cambiamento e a governare la complessità ricorrendo all’astuzia, ma prima o poi risvegliano i leoni, le non-élite, abili nell’uso della forza e perciò capaci di conquistare il potere «con una zampata bene assestata»”.

Antonio Polito si riferisce alla situazione del partito dei Fratelli d’Italia, ma come sicuramente potete accertare anche voi, è estensibile a tutti i partiti.

Le volpi clericali (DC), che ebbero il potere sino al 1992 conobbero i leoni, così come li hanno conosciuti le volpi del Pd nell’ultimo periodo.

Voglio prendere in prestito questa metafora per il mio paesello bello, San Cesario di Lecce. A San Cesario le volpi della destra si sono guardate bene da costituire gruppi o associazioni, consce com’erano che i leoni cittadini di destra, se messi in gabbia nelle associazioni o nei partiti, potevano sbranare tutte le volpi, ovvero ROTTAMARLI DEFINITIVAMENTE.

Allo stesso identico modo fecero le volpi del Pd locale quando dopo 25 anni, persero la guerra delle elezioni. LE VOLPI DEL PD si guardarono bene di convocare i cittadini (LEONI) e si limitarono a qualche manifesto qua e là.

Oggi gli eredi di quei 25 anni che non conobbero il potere se non per “SENTITO DIRE” sono stati convocati dalle volpi RIMASTE IN BRAGHE DI TELA e, non c’è dubbio che queste ultime resteranno fulminate «con una zampata bene assestata», se non si decidono di abbracciare la mia proposta formulata l’anno scorso.

La mia proposta era nella direzione di abbandonare la nostra cultura patriarcale DELL’ANTAGONISMO O COMPETIZIONE O CONCORRENZA. L’ANNO SCORSO LA MIA PROPOSTA FU BOCCIATA con sdegno, tracotanza ed arroganza proprio dai leoni e con l’ignavia colpevole e vigliacca delle volpi.

La mia proposta resta valida ed è rivolta PROPRIO ALLE VOLPI CHE NON MI DIFESERO la riformulo qui:

Per scongiurare il pericolo della ROTTAMAZIONE DEI VECCHI, che comporta un impoverimento della nostra convivenza sociale, formiamo un gruppo di cittadine e cittadini che collaborano con chiunque sia impegnato a rendere più confortevole e bella la nostra San Cesario. Il nostro motto è: VOI SIETE IL GOVERNO E NOI SIAMO LA COLLABORAZIONE!

Buona riflessione

Scenari politici
LA GUERRA CULTURALE (A DESTRA)
di Antonio Polito
Non è un caso se
questa estate si è
parlato del colore
della pelle dei
veri italiani e
dell’ubriachezza femminile
molto più che della
sicurezza sul lavoro o del
taglio del cuneo fiscale. Né
dobbiamo sorprenderci se
il generale Vannacci e il
giornalista Giambruno si
sono così assicurati una
popolarità nell’elettorato di
destra di gran lunga
superiore a quella di
qualsiasi ministro del
governo Meloni. La lotta
politica, anche nel nostro
Paese, si sta ormai
caratterizzando sempre più
come «guerra culturale»,
scontro di psicologie e di
valori, e sempre meno come
conflitto sociale tra
interessi e classi. Una
polarizzazione di tipo
nuovo si ridefinisce intorno
al solco che divide élite
liberali e progressiste da
una parte e non-élite
conservatrici e
tradizionaliste dall’altra.
Mentre l’arrivo al governo di
una destra «sociale»,
statalista e interventista in
economia, modifica i
termini dell’antico
bipolarismo: la sinistra del
welfare, abituata ad avere
come facile bersaglio
polemico il liberismo
«plutocratico»
dell’imprenditore
Berlusconi, ora si ritrova ad
applaudire la tassa sulle
banche di Giorgia Meloni.
Un po’ ovunque in Europa
i vincoli internazionali della
finanza e dei mercati, le
decisioni che vengono
prese a Bruxelles o a
Francoforte, restringono i
margini di azione della
politica nazionale, e
costringono i partiti a
occuparsi di altro per darsi
un senso. Ma in questa
deriva c’è un pericolo.
continua a pagina 34
La democrazia si è infatti dimostrata
nel dopoguerra un
sistema molto adatto a mediare
e istituzionalizzare il
conflitto di classe, evitando
che degeneri in forme estreme.
Ma non è detto che sia in grado di
«assorbire» senza traumi violenti questo
nuovo tipo di scontro potenzialmente
più radicale, perché basato su emozioni
e sentimenti, su furia e rabbia, su
concezioni della vita, antropologia e
psicologia degli individui. Altro che busti
di Mussolini e revisionismi su via Rasella,
giochi di ruolo per manipoli di nostalgici:
la virulenza moderna di questa
«guerra culturale» è ben più preoccupante.
E se non bastasse verificarlo ogni
giorno sui social, si può guardare a ciò
che è accaduto ad altre democrazie, dagli
Stati Uniti di Trump al Brasile di Bolsonaro
alla Thailandia di Shinawatra,
dove lo scontro politico è degenerato
nelle piazze ed è tracimato nelle aule di
tribunale, e ancora oggi non è chiaro se
saprà rientrare negli argini di una pacifica
dialettica parlamentare o darà vita a
qualcosa di nuovo e di altro, che forse
non potremo più chiamare compiutamente
democrazia.
In Italia c’è un mucchio di gente che
aspetta solo un generale da votare in
un’elezione diretta, e forse presto avrà
l’uno e l’altra. Si possono cioè creare le
condizioni per quell’antagonismo tra la
Volpe e il Leone che Vilfredo Pareto aveva
preventivato, facendo sua una metafora
del Machiavelli: le volpi, cioè le élite,
sono brave ad adattarsi al cambiamento
e a governare la complessità ricorrendo
all’astuzia, ma prima o poi
risvegliano i leoni, le non-élite, abili nell’uso
della forza e perciò capaci di conquistare
il potere «con una zampata bene
assestata» (è ricco di spunti di attualità
il numero della Rivista di Politica
dedicato al centenario dalla morte del
grande sociologo e teorico dell’elitismo).
La cosa interessante è che questo
conflitto riguarda la destra (non solo
Fratelli d’Italia, ma anche la Lega di Salvini)
più che la sinistra. Non sposeremo
il paradosso avanzato dal Foglio, per cui
«Giambruno è il vero rivale di Meloni».
Ma certamente esiste il rischio che nasca
nel Paese una opposizione da destra
al governo della destra, decisa a fare i
conti con l’era dei diritti e del politicamente
corretto, insofferente dei compromessi
necessari per guidare il Paese,
e rabbiosamente convinta che troppi ex
leoni si stiano trasformando in volpi.
Questa competizione intestina può
rallentare se non addirittura inceppare
il processo di trasformazione della destra
italiana da forza antagonista e antisistema
in moderna destra conservatrice
e di governo, che Giorgia Meloni ha
intrapreso dopo la vittoria elettorale per
onorarne la responsabilità. Purtroppo il
ruggito del Leone si è sentito. E così, invece
di ringraziare il ministro Crosetto
che con il suo intervento ha subito separato
(e protetto) le Forze Armate dal
Vannacci-pensiero, FdI e Lega hanno finito
per corteggiare il generale, contendendosene
la benevolenza tra Donzelli e
Salvini.
È un errore, di cui ci auguriamo la
premier sia consapevole. Anche perché,
per quanti sforzi si facciano per parlar
d’altro, saranno recessione e inflazione,
occupazione e reddito, a decidere le
sorti di questo primo esperimento in
Europa occidentale di governo della destra.
E questa non è roba per generali e
giornalisti,ma per governanti.

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