la questione DEI CAPI DEI PARTITI

 

Ernesto Galli della Loggia in un’intervista pubblicata dal quotidiano LIBERO e Gianni Cuperlo in un articolo pubblicato dal quotidiano DOMANI tutti e due oggi 21 agosto 2023 affrontano la questione DEI CAPI DEI PARTITI che vengono chiamati utilizzando la parola inglese leaders.  



Gianni Cuperlo afferma:

Le alternative? Direi siano essenzialmente due.

La prima è disporre di tanta ricchezza quanta ne basta a fondarsi un partito-azienda disposto a soddisfare richieste e bisogni del leader-tesoriere-fac-toturn. Ma non è roba per noi.

L'altra è riconoscere gli errori dell'ultimo trentennio e cominciare a porvi rimedio a partire dalla pessima legge elettorale che abbiamo votato e seppure pentiti non abbiamo fatto molto per cambiare quando avremmo dovuto restituire agli elettori il diritto a scegliere da chi essere rappresentati. E prima ancora l'abbaglio di aver messo mano alla Costituzione con una spallata di maggioranza creando un precedente pericoloso che oggi la destra usa a suo vantaggio con quell'autonomia differenziata destinata a rendere il paese più iniquo e diseguale. E infine recuperando una modalità regolata e vigilata di contributo pubblico alle attività di partiti e movimenti presenti nelle istituzioni. Sarebbe questa l'ennesima eresia o provocazione rivolta a quel pezzo di paese che non scollina la quarta settimana del mese? Forse no.

Autonomia della politica

Azzardo che se spiegata senza retorica e con atti conseguenti a darne conto potrebbe persino restituire alla categoria malconcia del -politico" quel pizzico di autonomia sacrificata in passato sull’altare dell’ultimo sondaggio senza per altro averne beneficiato. ll che, detto tra noi, almeno un poco dovrebbe farci arrossire. Forse davvero il nuovo corso impresso dall'ultimo congresso del Pd la linea che ne è scaturita possono spuntarla nell'impresa che non si è stati capaci di realizzare prima. Sapendo che per riuscirci la stagione avviata dovrà sposare la radicalità necessaria a scardinare rendite e conservazioni. D'altra parte contro questa destra un po’incapace, un po’ cattiva e un po' bugiarda il momento dl osane è ora.

Ernesto Galli della Loggia da parte sua conferma la inadeguatezza dei leader così:

Professore, lei la tocca piano.

«Meloni è forte perché intorno ha il vuoto».

Il Pd a guida Elly Schlein?

«Se l’obiettivo di un partito è vincere le elezioni, Schlein non fa vincere le elezioni. Penso che la mia opinione sia largamente condivisa all’interno dello stesso Pd. La segretaria incarna una linea puramente movimentista, sempre presente ai comizi al fianco della Cgil, sensibile alle rivendicazioni delle minoranze di ogni tipo. È una linea minoritaria che non tiene conto di un dato: l’Italia è un paese conservatore. Di questo passo una sinistra incapace di parlare alla maggioranza può vincere solo approfittando degli errori marchiani della destra, com’è capitato spesso in passato».

Le due posizioni sembrano differenti, invece fanno capo alla nostra cultura patriarcale. Cuperlo pensa a una gestione con MOLTI CAPI BASTONE; Ernesto Galli della Loggia VUOLE IL LEADER MAXIMO!

Nessuno dei due ha osservato i comportamenti di questi tempi, perché se lavessero fatto si sarebbero resi conto che viviamo in un'epoca in cui le gerarchie stanno scomparendo. Veniamo da una cultura che confonde la collaborazione con l'obbedienza, ma che tutti fanno compiti diversi fanno parte di un quadro essenziale.

La storia dell'umanità mostra che i leader politici conducono alla tirannia ecco perché dobbiamo aprire spazi di conversazione dove possiamo incontrarci in sintonia con questi tempi nella gestione, dove è consigliabile che le organizzazioni siano orizzontali piuttosto che verticali, che le persone lavorino come una squadra e che il potere dell'ascolto sia infinito.

La diversità non dovrebbe essere un problema, ma un'opportunità riflessiva e creativa. Se qualcuno presenta qualcosa di diverso è bello ascoltarlo. Tutti gli esseri umani sono belli nella realizzazione del nostro vivere, le differenze sono motivo di riflessione per cui non c'è discriminazione.

Quando si parla di obbedienza, possiamo riflettere e considerare questa una parola che sembra essere stata lasciata in una cultura meno avanzata. I processi naturali non implicano l'obbedienza, che è un fenomeno culturale e umano.

UNA PERSONA E’ UBBIDIENTE QUANDO FA CIO’ CHE NON VUOLE FARE PERCHÉ QUALCUN ALTRO LO CHIEDE, ma questo non sarebbe il modo NATURALE, solo se lo faccio per piacere, abbiamo la collaborazione. "

Mi rivolgo a tutti, riflettiamo e chiediamoci: ci è stato detto che dovevano essere obbedienti?",

L'obbedienza era vista da tutti noi come un valore, ma invece ha a che fare con la sottomissione. INVECE IL RISPETTO è diverso ed emerge dall'esempio, dalle conversazioni, i diciassettenni saranno in grado di dire si o no secondo il rispetto che avranno per se stessi e per gli altri, e lo stesso accade nelle organizzazioni. Invece l'obbedienza porta sempre rancore.

I leader che si disconnettono dalla comunità durano un po ', niente di più, niente di veramente riconosciuto, la co-ispirazione, invece, è data da conversazioni, da un progetto comune, non da un progetto stabilito.

Infine, c'è un'idea madre: amore, ed è questa idea e soprattutto è dei comportamenti conseguenti a questa idea quello che alla gente importa davvero.

Buona riflessione

FATTI
" STORIA DI UNA DISGREGAZIONE
Da partiti a macchie elettorali
E’ la crisi della rappresentanza
La demonizzazione della struttura ha portato le classi dirigenti a occuparsi solo della gestione del consenso Una modalità regolata e vigilata di contributo pubblico alle attività di partiti non è una eresia
GIANNI CUPERLO deputato Pd
Partiamo dal fon-do. Da tempo la classe politica co-nosce un discre-dito che nessuna contromisura è riuscita sinora a contrastare e a poco serve rinverdire sta-gioni passate, e nomi e pagi-ne& una classe dirigente og-getto anche di accuse severe, ma esente da critiche sul vo-lume del portafoglio o lo sti-le di vita. Ora, guai a fare l'agiografia di un passato dove scandali, tangenti e biografie inquina-te hanno collassato un siste-ma che la magistratura da so-la non avrebbe avuto la for-za di scardinare. Detto ciò per capire il come e il perché siamo precipitati dove stiamo bisogna consi-derare tre altri elementi de-stinati a condizionare quali-tà e prestigio della democra-zia la fragilità di un pensie-ro attrezzato al contesto storico i criteri di formazione selezione del ceto politico: Il ritorno in troppi casi a un ac-cesso patrimo-niale alle cari-che elettive. In passato non so-no mancate censure su cia-scuna di queste fratture senza però che si evi-denziasse la concatenazio-ne dei processi. Insomma il loro dipendere l'uno dall'altro. Anche qui sapendo che sa-rebbe un errore far di tutta un'erba un fascio (mai pro-verbio fu più aderente allo spirito dei tempi!). Vagando per l'Italia incrocio militanti splendidi e circoli del Pd tenuti aperti perla for-za di volontà dei tanti che continuano a credere in una politica vissuta gli stessi che in questi giorni nelle fe-ste e online raccolgono mi-gliaia di firme per una legge sul salario minimo. Tornando al problema, il punto è che le vecchie appar-tenenze non erano solo un aggregato di alleanze e stra-tegie. O meglio, lo erano ma non esaurivano II la funzio-ne di serbatoi e animatori della costituzione democrati-ca una volta archiviata la pa-rentesi del fascismo. Erano forze consapevoli che l'edificio istituzionale aveva bisogno di una classe diri-gente — un ceto politico — espressione dei corpi sociali che partiti rigenerati si can-didavano a promuovere. In altri termini, la forma stessa di quei partiti.le lorostruttu-re operative. Il legame coi ter-ritori, e non solo con le gran-di urbanizzazioni, costitui-vano l'intelaiatura di una ritrovata libertà e democrazia.
Capitalizzare
Ma appunto per questo la leg-gerezza con le quali dal cen-tro alla sinistra si è pensato di abbandonare quel model-lo privilegiando il destino personale di singole leader-ship con l'effetto di antepor-re alla rifondazione del sog-getto collettivo l'approdo al governo è stata una colpa grave. Il punto è che una vol-ta convertito il partito in un comitato elettorale perma-nente, sono venuti a manca-re gli affluenti di una società a sua volta meno decifrabile e coesa. Per capirci, radicare una qualche forma di rap-presentanza dentro le pie-ghe della precarietà è diver-so dall'organizzarsi nei luo-ghi fisici della classe operaia o del pubblico impiego tradi-zionale. Di fronte a quella novità il traguardo non e stato riorga-nizzate il proprio campo, ma attrezzarsi al nuovo obiettiva capi-talizzare il mas-simo dei voti as-sieme al nume-ro maggiore di eletti. A quel punto tutto o quasi — organi-smi dilatati e pletorici, staff di fedelissimi, consulenze co- municative più o meno az-zeccate — si è modellato sullo stampo di forze e movimenti sempre più simili a macchine del consenso. Giunti alla forma-zione delle classi dirigenti poco aveva da chiedere alla sfera del pensiero, dell'anali-si storica o delle prospettive future perché doveva con-centrarsi su profili più inter-ni a ottimizzare i messaggi della propaganda al ritmo dei social. Chiudere i centri studi e moltiplicate gli uffici stampa rifletteva la deriva. In sintesi, culture sempre meno indotte a collocarsi nel proprio tempo (simboli-co agli albori il richiamo alle -primarie come tratto iden-tirario del Partito democrati-co). sottovalutazione della dipendenza tra quelle cultu-re e le forme della partecipa-zione fino al nuovi requisiti dl fedeltà nella selezione dei gruppi dirigenti: il combi-narsi di questi fattori ha con-tribuito allo stato di cose esi-stenti. Con un corollario che poi tale non è. Questa regressione non ha ri-guardato solamente la politi-ca. ma più in generale le élite nell'economia nel poterne-cadernico, nell'informazio-ne. Motivo a sostegno dell'i-dea che senza una sinistra solida nella struttura oltre che nei consensi gli obiettivi dl solidarietà e giustizia so-no destinati a infragllirst di-nanzi a una destra che dalla distruzione della sanità pub-blica al taglio del reddito di cittadinanza mostra una concezione della povertà co-me colpa da espiare Quanto al terzo elemento tra le cau-se del discredito ardo sia l'a-ver cancellato ogni forma di finanziamento pubblico all'iniziativa politica.
Cedimento al populismo?
Si. ma a essere onesti, anche la difficoltà a reggere l'urto di scandali e malversazioni tol-lerate troppo a lungo.
Alternative
Rimane lo sbrego con le sue conseguenze. Senza denaro e strumenti ordinari l'agibi-lità politica in qualunque partito si riduce quasi sola-mente alla presenza nelle Istituzioni anche perché da li si attingono le risorse a so-stegno di una presenza capil-lare e organizzata. Ma qui si colloca l'anello ulti-mo della catena che conduce a quell'accesso patrimonia-le denunciato all'inizio. Col formarsi di vere e proprie ta-belle e relativi tariffari che candidate e candidati, se col-locati in posizione eleggibi-le, sottoscrivono all'avvio della campagna elettorale. Sia chiaro, sola e legittima forma di sostegno alle spese necessarie di partiti altrimenti costretti a reperire quelle fonti di sostentamen-to tramite canali diversi e non sempre trasparenti.
Le alternative? Direi siano essenzialmente due.
La prima è disporre di tanta ricchezza quanta ne basta a fondarsi un partito-azienda disposto a soddisfare richieste e bisogni del leader-tesoriere-fac-toturn. Ma non è roba per noi.
L'altra è riconoscere gli errori dell'ultimo trentennio e cominciare a porvi rimedio a partire dalla pessima legge elettorale che abbiamo votato e seppure pentiti non abbiamo fatto molto per cambiare quando avremmo dovuto restituire agli elettori il diritto a scegliere da chi essere rappresentati. E prima ancora l'abbaglio di aver messo mano alla Costituzione con una spallata di maggioranza creando un precedente pericoloso che oggi la destra usa a suo vantaggio con quell'autonomia differenziata destinata a rendere il paese più iniquo e diseguale. E infine recuperando una modalità regolata e vigilata di contributo pubblico alle attività di partiti e movimenti presenti nelle istituzioni. Sarebbe questa l'ennesima eresia o provocazione rivolta a quel pezzo di paese che non scollina la quarta settimana del mese? Forse no.
Autonomia della politica
Azzardo che se spiegata senza retorica e con atti conseguenti a darne conto potrebbe persino restituire alla categoria malconcia del -politico" quel pizzico di autonomia sacrificata in passato sull’altare dell’ultimo sondaggio senza per altro averne beneficiato. ll che, detto tra noi, almeno un poco dovrebbe farci arrossire. Forse davvero il nuovo corso impresso dall'ultimo congresso del Pd la linea che ne è scaturita possono spuntarla nell'impresa che non si è stati capaci di realizzare prima. Sapendo che per riuscirci la stagione avviata dovrà sposare la radicalità necessaria a scardinare rendite e conservazioni. D'altra parte contro questa destra un po’incapace, un po’ cattiva e un po' bugiarda il momento dl osane è ora.
«Il capo del governo è l’unico leader Elly fa solo comizi»
Ernesto Galli della Loggia
«Il premier unico leader in campo»
Lo storico fa a pezzi la Schlein: «Con lei il Pd non vincerà mai le elezioni. La segretaria è solo movimentismo, Meloni ormai legittimata all’estero»
ANNALISA CHIRICO
«Giorgia Meloni è l’unica leader in
campo. Lei è la donna
che fa mentre gli altri parlano
e basta», un Ernesto
Galli della Loggia particolarmente
tranchant risponde
alle domande di
Libero sulla traiettoria
del premier, del governo,
della destra. Lo storico,
editorialista del Corriere,nonsi sottrae.
«È colpa anche dei giornali che
sollecitano il narcisismo
di scialbe figure politiche.
Renzi, Calenda, Provenzano,
Orlando… che cosa
propongono costoro, a
parte schierarsicon Meloni
o con Schlein?».
Professore, lei la tocca piano.
«Meloni è forte perché intorno ha il vuoto».
Il Pd a guida Elly Schlein?
«Se l’obiettivo di un partito è vincere le elezioni, Schlein non fa vincere le elezioni. Penso che la mia opinione sia largamente condivisa all’interno dello stesso Pd. La segretaria incarna una linea puramente movimentista, sempre presente ai comizi al fianco della Cgil, sensibile alle rivendicazioni delle minoranze di ogni tipo. È una linea minoritaria che non tiene conto di un dato: l’Italia è un paese conservatore. Di questo passo una sinistra incapace di parlare alla maggioranza può vincere solo approfittando degli errori marchiani della destra, com’è capitato spesso in passato».
Il governo Meloni è accusato, a
giorni alterni, di populismo perché
ha deciso, per esempio, di tassare
gli extramargini delle banche.
Lei è d’accordo?
«Non scherziamo. Negli ultimi anni
le banche hanno ricevuto ingenti
risorse dallo Stato per alleggerire le
proprie esposizioni attraverso la finanza
pubblica. Non si può essere
liberali quando si viene tassati e statalisti
quando si chiedono i soldi».
Tassisti e balneari: questa destra
è corporativa?
«In Italia sono tutti corporativi. Se
non sbaglio neanche Mario Draghi
è riuscito a risolvere la questione
delle concessioni balneari né mi pare
che il suo governo abbia aumentato
le licenze dei tassisti. Neanche i
governi con il Pd dentro, anzi faccio
notare che il sindaco di Roma, Roberto
Gualtieri, è un esponente del
Pd e, se volesse, già domani potrebbe
rilasciare tremila licenze in più.
Perché non lo fa? Nessuno osa dare
fastidio alle corporazioni».
Dopo dieci mesi di governo,
quali sono pregi e difetti dell’operato
di Meloni?
«Il premier fa molto bene in politica
estera, direi che si sta quasi rivelando
il suo campo di elezione. Dicevano
che con lei l’Italia sarebbe
finita ai margini, invece Meloni è apprezzata
a Washington, ha saputo
crearsi una legittimazione come leader
credibile e affidabile anche in
Europa. Lo conferma il rapporto costruito
Con la presidente della Commissione
Ue von der Leyen o con il
presidente del Partito popolare europeo,
Manfred Weber. Partecipa ai
vertici internazionali con piena dignità,
vedendo anche accolto il senso
delle sue richieste come sui migranti.
Più volte, con la sua azione,
sconfessa di fatto alcune posizioni
passate della sua stessa parte politica.
Anche per questo è venuto per
lei il momento, se ci riesce, di volare
più alto».
In che senso?
«Il premier deve indicare al Paese
la novità storica che il suo ruolo attuale
rappresenta, e mostrarsene
consapevole indicando le mete. Per
far questo non bastano le dichiarazioni
più o meno estemporanee alla
stampa. Serve una narrazione
complessa che tenga insieme il passato
e il futuro, e che sappia parlare
agli italiani. Ci vogliono gli intellettuali
».
Diranno che anche lei è corporativo
perché rivendica un ruolo
per la sua categoria…
«Charles De Gaulle non sarebbe
esistito come presidente della Repubblica
senza le idee di André Malraux.
Non bastano gli staff, servono
anche persone e consiglieri con lo
sguardo lungo. Le leadership degne
di questo nome si costruiscono così:
pensando in grande seppur parlando
con la voce di ogni giorno. Se
Meloni vuole incarnare una svolta,
deve rappresentare la guida di una
nazione e non di un partito. I veri
leader sono quelli che uniscono,
non che dividono. Ciò non significa
perdere identità ma riuscire a essere
un punto di riferimento anche
per chi non ti ha votato. Significa
adottare un timbro nuovo capace
di disegnare una prospettiva in cui
possano riconoscersi in molti al di
là dell’appartenenza di partito. Servono
i discorsi alla nazione, serve
una narrazione al paese che renda
la tua leadership non di parte».
Intanto l’opposizione le rinfaccia
ogni giorno il suo essere di destra…
«Di destra è un conto, fascista un
altro. L’ossessiva evocazione del pericolo
fascista è ridicola, queste sono polemiche
innescate da una sinistra
che non riesce a formulare proposte
concrete, aderenti alla realtà.
Il modo di rispondere però non può
essere sgangherato né aggressivo
come spesso fanno diversi rappresentanti
della destra. Serve un salto
di qualità».
In vista delle elezioni europee
del prossimo anno, la destra italiana
potrebbe replicare il modello
della grande coalizione con popolari
e socialisti?
«Mi sembra assai improbabile
perché sarebbe una grande ammucchiata.
Penso che il centrodestra si
batterà per una maggioranza di destra-
centro o di centro-destra, allargata
ai popolari».
E Marine Le Pen?
«La presenza della leader francese
rende impossibile l’operazione
con il centro».
In Francia Le Pen è la principale
avversaria di Macron.
«Macron annaspa. Tanto in politica
interna che estera ha perso peso
e influenza, gli si sta sgretolando il
ruolo in Africa, non ha più un rapporto
privilegiato con la Germania.
Leggo che il governo francese starebbe
valutando l’intervento militare
in Niger: sarebbe l’ennesima sciagura,
come l’invasione della Libia».
Come se la passa l’Europa?
«Male, non è una novità. L’Unione
europea non riesce a essere soggetto
politico. È l’alfa e l’omega di
tutti i suoi problemi, a partire dalla
conclamata incapacità di controllare
le sue frontiere esterne. Non si
può pretendere però che sia Giorgia
Meloni a trovare la soluzione a
questo problema».
I guai giudiziari di Daniela Santanché
e di altri membri dell’esecutivo
potrebbero nuocere al governo?
«Non credo, queste sono vicende
che non spostano voti. Io sono da
sempre contrario all’automatismo
delle dimissioni per un avviso di garanzia.
In Italia esiste una politica
giudiziaria che troppe volte ha comportato
la fine di carriere politiche
per persone poi prosciolte o assolte.
Forse in altri paesi le dimissioni sono
un esito giustamente inevitabile
ma in Italia non può essere così perché quando si
tratta di politici la magistratura
si dimostra in generale
troppo frettolosa nella fase delle indagini.
Non possono essere i magistrati
a selezionare il personale politico
».
E sulla separazione delle carriere?
«Io sono da sempre favorevole.
Mi auguro che il ministro Carlo Nordio
tenga fede alle sue promesse».

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