Ieri sera in Piazza a San Cesario

 

Ieri sera in Piazza a San Cesario

La domanda che mi sono fatta è la seguente: Io voglio vivere a San Cesario insieme alle persone che come me vivono a San Cesario?
Ci ho riflettuto e la mia risposta è che si, io voglio vivere insieme ai sancesariani.
Perché mi sono fatta questa domanda. Perché ieri sera parlando con dei concittadini ho ascoltato le seguenti affermazioni.
La prima di un cittadino:
1- Il mio Sindaco non è quello che è stato eletto ma è Pinco Pallo.
Un altro cittadino mi ha chiesto:
2- Perché chiami per nome il Sindaco? Dovresti mettere distanza e chiamarlo per cognome
Tutti e due questi cittadini è evidente che alla domanda se volessero vivere insieme a tutti hanno risposto che volevano vivere solo con alcuni e non con tutti.
Tutti e due i cittadini dovrebbero formare una Comunità distinta e distante da San Cesario e ammettere a questa Comunità solo le persone con cui desiderano vivere insieme.
Questa è la nostra cultura patriarcale dell’esclusione.
La madre di Humberto Maturana (1928) da ragazza viveva tra le comunità aymara. Una volta che suo figlio Humberto crebbe e si fece grande diventando un eminente biologo, gli chiese quale fosse la cosa più importante che aveva imparato tra gli indigeni degli altipiani. Lei ci ha pensato e gli ha detto: “Condividere e collaborare”.
Entrambe le idee hanno impregnato la sensibilità e il pensiero di Humberto Maturana Romecin vincitore del National Science Award nel 1994.
Dal suo punto di vista, ciò che distingue l’essere umano è il linguaggio. Il linguaggio non come sistema simbolico, ma come una serie di interazioni o coordinazione di azioni ed emozioni. A partire dalla famiglia ancestrale, secondo Maturana, questa rete di coordinamento ha reso possibile il “vivere insieme nel piacere di stare insieme”, nel benessere e nella tutela del gruppo.
"Tutto questo modo di vivere che c’era nella preistoria non è poi così diverso dal modo di vivere attuale; l'unica differenza in questo presente è che abbiamo perso la spontaneità del prendersi cura dell'altro e dell'altra, e ci siamo immersi nella competizione come modo di vivere e convivere in modo da considerare naturale la competizione".
Alla luce di questi accadimenti di ieri sera in piazza a San Cesario vi propongo una riflessione su convivenza e democrazia, basata sul rispetto e sull’idea di collaborare.
"Pensiamo che la democrazia sia un modo di vivere insieme, non è una teoria politica, filosofica o sociale, ed è associata al fatto che vogliamo o meno vivere insieme. Se vogliamo vivere insieme, la questione è cambiata in come "Vogliamo vivere insieme, ma non dalla teoria. E questo di per sé richiede rispetto reciproco. Le teorie ci intrappolano, sono costruzioni razionali, ma la democrazia non è una costruzione logica razionale, è un modo di vivere insieme che nasce dal desiderio per la convivenza"(Maturana e Davìla 2019).
Quello che è successo ieri sera a San Cesario mette in luce il modo in cui la cultura della competizione influenza la nostra convivenza.
Quella cultura della competizione si fonda su una teoria economica, il libero mercato. Quando si invita alla competizione è sempre un atteggiamento di negazione dell'altro, ed è anche una negazione di sé stessi, perché per crescere devo essere migliore dell'altro, quindi l'altro è il mio riferimento.
Io penso che questa cultura abbia influenzato la crisi che stiamo vivendo. Cosa si intende per libera concorrenza? Che ho la libertà di fare le cose in modo che l'altro fallisca, perché devo fare meglio. Ma l'atteggiamento non è fare meglio nella qualità storica del fare, ma fare in modo che l'altro fallisca e io sia presente. Quindi la concorrenza è sempre negativa.
La selezione naturale di Darwin dice che il più adatto si adatta meglio di altri a vivere e quindi vive nel benessere più degli altri. Bisogna guardare la storia e nella competizione appare la schiavitù, la razza pura, la conquista, il genocidio indigeno. È una cultura in cui noi ci sottomettiamo agli altri, una cultura del controllo che genera sfiducia e insicurezza.
Quando ero bambino e vedevo un muretto per strada, ci salivo sopra e scivolavo più lontano che potevo mantenendo l'equilibrio. Gli esseri umani scivolano mantenendo l’equilibrio del nostro benessere e poi moriamo, ma non è una storia di chi è migliore o peggiore, ma delle circostanze che ci permettono di mantenere il benessere.
Invece si dice in giro e si sottolinea sempre che la concorrenza è positiva e consente servizi e prodotti migliori. Invece non è così, ciò che genera è che faccio qualcosa che può essere visto meglio sul mercato, non necessariamente che ci sia un progresso. Può darsi, che ci sia, ma sarà per la qualità di quello che faccio, non per la concorrenza.
La disuguaglianza esisteva già, ma all’improvviso è esplosa. La disuguaglianza è diventata estrema, gli abusi sono diventati estremi...
Per superare la cultura della concorrenza propongo di abbandonarla perché al suo posto, in modo assolutamente spontaneo, emerge la cultura della collaborazione. Ed io vedo possibile un cambiamento in questo senso. Siamo diversi, abbiamo sensibilità diverse, ma possiamo avere un progetto comune. E quello è il punto. Ma per avere un progetto comune dobbiamo rispettare le differenze e trovare spazi di convivenza nel rispetto reciproco. Ma se abbiamo l’ideologia che esclude l’altro, non potremo farlo.
Siamo mammiferi, agiamo per favorire il contenimento, istintivamente con affetto, e siamo portati alla collaborazione. È costitutivo per gli esseri umani collaborare, ma poiché siamo in una cultura così patriarcale ecco che è stata lasciata da parte la collaborazione che oggi gli esseri umani possono desiderare di voler riprendere.
Qualsiasi accordo tra i cittadini che fanno parte di movimenti politici che nasca nella consapevolezza che tutti vogliamo coesistere ma soprattutto che vogliamo coesistere con rispetto reciproco, equità e onestà che renda possibile questa convivenza, ci permetterà di uscire da ogni difficoltà di convivenza in cui ci troviamo nella nostra evoluzione storica... se davvero vogliamo una convivenza democratica... che è proprio quella convivenza che ho descritto.
Qualunque sia il meccanismo che adottiamo adesso, sarà accettabile se saremo disposti a rivederne l’applicazione ogni volta che sembrerà necessario nel presente storico in cui ci troviamo, perché ciò che ci guida è il desiderio e l’impegno di convivere nel mutuo rispetto e nell’onestà di volere quella convivenza.
Si può fare un nuovo accordo per uscire dalla crisi. Forse non dovremmo parlare di governo e opposizione perché invece dovremmo parlare di governo e collaborazione. E forse dovremmo non parlare più di diritti umani per parlare invece di “accordi di coesistenza”. Se l’accordo verrà rispettato e ci sarà onestà, sono ottimista.
Buona riflesione

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