Solo i patriarchi conoscono la sconfitta

 

Solo i patriarchi conoscono la sconfitta

Enzo Bianchi 80 anni saggista e monaco laico che, tra l’altro, ha fondato la Comunità monastica di Bose in Piemonte, ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano LA REPUBBLICA di oggi 14 agosto 2023 in cui riporta la testimonianza di Massimo Cacciari pubblicata sul quotidiano L’Unità del 10 agosto 2023, nella quale Cacciari stesso confessa come per lui e la sua generazione (Giorgio Agamben, Roberto Esposito, Mario Tronti, ecc.) artefice di un discorso politico fortemente elaborato, dopo alcuni lampanti e importanti risultati si sia manifestata la sconfitta. Nell’articolo da quello che ho letto mi è parso che la sconfitta si sia manifestata anche nella vita di Enzo Bianchi perché parla di tale circostanza riferendosi alla organizzazione antropologica artificiale denominata Chiesa Cattolica Apostolica Romana.

Ma perché l’ex priore di Bose fa un articolo descrivendo la sconfitta, che è propria della condizione di chi ha affrontato uno scontro e ne è uscito VINTO, PERDENTE e conseguentemente, c’è invece chi ne è uscito VINCITORE TRIONFANTE?

Enzo Bianchi scrive della sconfitta perché oggi viviamo una cultura patriarcale centrata sul dominio dell'uomo sulla donna, sul controllo della sessualità femminile e della procreazione umana e animale. Ed ancora questa nostra cultura è centrata nelle gerarchie, nella guerra. L'uomo è il pater, il patriarca di cui parla la Bibbia.

In Europa c'era una cultura materna non matriarcale, questa cultura è stata praticata dall’ 8 mila avanti Cristo al 5 mila a. C.

La conferma viene da recenti scoperte archeologiche che indicano appunto che in Europa, nell'area del Danubio e nei Balcani, si sviluppò una società matristica di cultura materna. In questa società le donne non dominavano gli uomini, ma era una società che praticava una cultura in cui uomini e donne erano compartecipanti dell'esistenza, non erano avversari. C'era la complementarietà. Le relazioni tra i sessi non erano di dominazione o subordinazione. L'agricoltura era vissuta, ma senza l'appropriazione della terra, che apparteneva alla comunità. Gli archeologi hanno trovato villaggi che non mostrano segni di guerra, né fortificazioni, né armi come ornamenti o decorazioni. Hanno trovato, invece, i segni estetici della vita, della natura. Le immagini di culto sono femminili o ibride di donne e animali. In esse non ci sono suggerimenti di manipolazione del mondo, ma di armonia dell'esistenza. I segni indicano che la vita è vissuta come un aspetto di una dinamica ciclica di nascita e morte. La morte non era considerata una tragedia, ma una perdita naturale. Era una cultura che non era centrata sulle gerarchie, né sul controllo della sessualità femminile.

Quando avviene l'incontro tra le due culture, quella matristica si sottomette a quella patriarcale. Ma quella matristica non scompare del tutto. Resta nella relazione materno-infantile. Questa è la ragione per cui oggi viviamo una cultura materna nell'infanzia e una cultura patriarcale nella vita adulta, che significa vivere il maschile e il femminile in conflitto permanente.

Questo è il motivo per cui i problemi della nostra cultura sono una contraddizione tra i valori dell'infanzia e quelli della vita adulta. È vivere il maschile e il femminile come se fossero intrinsecamente opposti. Ciò indica che la nostra cultura nasce dalle contraddizioni e rimane ancora in contraddizione.

Tutto ciò premesso, suggerisco ad Enzo Bianchi la pratica della cultura matristica. Se l’ex priore di Bose volesse desiderare di abbandonare la nostra cultura patriarcale, potrebbe osservare emergere da dentro se stesso, la nostra cultura materna che anche lui praticò da bambino con la sua mamma. Io l’ho fatto e la competizione che si circostanzia nel processo di scontro che ha come epilogo uno o più vincitori ed uno o più sconfitti, non è più parte della mia vita.

La descrizione della sconfitta e dei sentimenti degli sconfitti è possibile che sia agita solo nella nostra cultura patriarcale della competizione. Per non essere in quel processo basta desiderare di abbandonare la nostra cultura della competizione. E’ una squisita questione di desiderio.

Buona riflessione

Sconfitti ma non falliti
di Enzo Bianchi
Nella mia vita attuale ancora
rallegrata da molti incontri è
alquanto facile, venire a sapere
tutto di persone che, dopo averle
ascoltate e lette, ormai in tarda età
incontro e conosco personalmente
nel grande dono di porre mano
nella mano e poter praticare
un’accoglienza intellettuale
reciproca. È un’esperienza
preziosa, forse possibile con tutte le
sue grazie solo nella vecchiaia, di
certo un dono che da un lato
procura una gioia profonda, un
piacere che è un piacere della vita, e
dall’altro apre a una comunione che
non si conosceva né si supponeva
prima. Forse perché in questi
incontri è presente tanta memoria
per una vita lunga vissuta in
moltissime situazioni che,
confrontate e condivise, apportano
profondità di sapienza.
Certo per me è un tema del
pensiero la grande presenza di
sconfitti nella mia generazione. So
che “sconfitto” è un attributo
impronunciabile, che non va
applicato a una persona, ma in
verità sempre constatiamo la
presenza di sconfitti e forse quando
si è anziani il loro numero sembra
aumentare…
Da tutti la sconfitta viene rievocata
come un evento doloroso. Massimo Cacciari, in un’intelligente intervista pubblicata sull’Unità il 10 agosto 2023, confessa come per lui e la sua generazione (Giorgio Agamben, Roberto Esposito, Mario Tronti, ecc.) artefice di un discorso politico fortemente elaborato, dopo alcuni lampanti e importanti risultati si sia manifestata la sconfitta. Attenzione, fu una
sconfitta, non una resa, e non fu
neanche uno smentire se stessi per
passare all’avversario. Certamente
quella generazione è fallita e lo
stesso si può dire anche di altre. E la
sconfitta scuote la sicurezza del
progetto. Ma per poter essere
sconfitta e non resa incondizionata
deve essere elaborata, rendendo
più acuto il pensiero e più resistenti
alla celebrazione del vincitore. La
sconfitta deve rinsaldare per poter
preparare a un successivo urto altre
menti senza mai cedere al pensiero
unico che, invece, impedisce
sempre di vedersi sconfitti. Perché
in tale cedimento vengono meno il
rigore, il senso della giustizia, e
giorno dopo giorno si cancella il
pensiero antico, si acquietano le
domande di quelli che chiedevano:
perché?
Ed è significativo che la presenza
degli sconfitti abbondi anche nella
Chiesa. Non la si vuole vedere, non
le si vuole dare voce e l’afasia fa
parte della patologia. Testa tuttavia
vero che molti nella chiesa non
hanno più speranza per il suo
futuro, non credono più al “sogno”
(lo chiamano così) di Giovanni XXIII
espresso nel Concilio. Ma quando
viene meno la speranza, viene
meno la fede e si raffredda la carità,
della Chiesa che cosa resta?
Eppure risultare sconfitti non
significa avere torto ! Diceva Abba
Pambo a Giovanni che piangeva
perché sconfitto dal demonio: “Se
sei nella sconfitta hai intrapreso la
vita cristiana!”. Ai tanti che si
credono sconfitti in questa Italia di
oggi mai dire: “Siete fuori”, e sotto
la cenere la brace riprenderà
ancora.


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