La schizofrenia dei clericali dilaniati da tra lo sgomitare per la conquista del potere e il collaborare per il bene comune

 

La schizofrenia dei clericali dilaniati da tra lo sgomitare per la conquista del potere e il collaborare per il bene comune

Marco Damilano ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano Domani di oggi 29 agosto 2023 nel quale in sintesi afferma che il monaco Dossetti è l’antidoto al Dio-patria-famiglia delle destre.

L’antidoto agli sgomitatori sociali che lottano per conservare il potere o per conquistarlo è l’abbandono della cultura della competizione. L’antidoto è la democrazia che è un modo di vivere nel reciproco riconoscimento di legittimità e rispetto. L’antidoto alla dominazione del potere che sottomette e discrimina è SOLO QUESTO DESIDERIO DI ABBANDONARE LA NOSTRA CULTURA PATRIARCALE.

Giuseppe Dossetti se avesse potuto ottenere di praticare la democrazia, non si sarebbe fatto monaco. Questo è il presupposto dal quale sono partito per scrivere le parole che ho scritto.

Buona riflessione

Il monaco Dossetti è l’antidoto al Dio-patria-famiglia delle destre
Ritorno
La figura di Dossetti incarna l’ideale politico della sinistra cristiana
Sergio Mattarella ha citato Giuseppe Dossetti nel suo discorso al meeting di Comunione e liberazione
MARCO DAMILANO
ROMA
Al meeting di Comunione
e liberazione Sergio
Mattarella ha utilizzato
alla fine del suo
intervento una lunga
citazione: «È nei
momenti di confusione, o di
transizione indistinta, che le
Costituzioni adempiono la più vera
loro funzione: essere, per tutti, punto
di riferimento e di chiarimento». Per
apprezzare l'attualità di queste
parole, pronunciate all'università di
Parma nel 1995, bisogna ricordare, o
far conoscere ai più giovani, il loro
autore. Chi è stato Giuseppe Dossetti.
Tra i padri della Costituzione è
l'unico cui sia stato dedicato un
concerto rock, quello dei Per Grazia
Ricevuta di Giovanni Lindo Ferretti,
nell'estate 2001, a Montesole, tra le
case crivellate di proiettili, le
impronte della strage nazista del
1944. «Riconosco che un uomo che fa
il partigiano, poi il vicesegretario
della Dc formando un gruppetto in
dissidenza con la maggioranza e
infine si fa prete, è all'apparenza un
irrisolto. Ma credo che ognuno di noi,
se vive criticamente,
deve trovare la forza di
uscire dalle situazioni
che non lo soddisfano»,
si presentava Dossetti
in una rara intervista,
nel 1972 a Panorama.
Alto, magro, il sorriso
mite ma intransigente.
Formato a Reggio
Emilia da don Dino
Torreggiani, l'assistente
dei giovani di Azione
cattolica che porta i
suoi ragazzi nei campi
dei nomadi. Da partigiano sale in
montagna, senza armi, rifiuta la
violenza. Entra nella Dc, fonda il suo
gruppo attorno alla rivista “Cronache
sociali”, in polemica con De Gasperi:
«Non si può fare politica per il
governo e basta». È convinto che il
coinvolgimento politico della Chiesa
provocherà «un'usura della
religiosità». Da costituente dialoga a
tu per tu Palmiro Togliatti, nella sede
del Pci in via delle Botteghe Oscure. È
un leader carismatico, di pensiero e
di azione, ma nel 1952 lascia tutto,
scioglie la sua corrente, si dimette da
deputato, dopo aver abbandonato gli
incarichi nella Dc, nel 1959 viene
ordinato sacerdote, si ritira in
preghiera con la Piccola famiglia
dell'Annunziata, vive a lungo a
Gerusalemme.
Il monaco Dossetti torna a parlare
nel 1994. È anziano, è ricoverato in
ospedale a Bazzano, alla vigilia del 25
aprile. Berlusconi ha appena vinto le
elezioni, al governo stanno per
andare per la prima volta gli eredi del
Movimento sociale e la Lega di Bossi,
Dossetti si appella a fare qualcosa
contro «i propositi delle destre (palesi
e occulte)», chiede la nascita di
comitati per la Costituzione, con
«un'opposizione più unitaria, più
organica, più di principio». Il 18
maggio è a Milano, per
commemorare l'amico Giuseppe
Lazzati. Come la sentinella biblica,
scruta «nel mare buio e livido della
società italiana», nella fine della Dc
vede «la tanta dissipazione che ne è
stata fatta per leggerezza e per
disonestà diffusa», attacca il nuovo
che spinge per conquistare il potere,
Berlusconi-Bossi-Fini:
«Più che di Seconda
Repubblica si potrebbe
parlare del profilarsi di
una specie di
triumvirato: il quale,
attraverso una
manipolazione
mediatica
dell'opinione, può
evolversi in un
principato più o meno
illuminato, con
coreografia medicea
(trasformazione di una
grande casa economico-finanziaria
in signoria politica)». E spinge a un
nuovo impegno politico. Pochi mesi
dopo nascerà l'Ulivo, dopo gli
incontri nella sua cella da monaco
con Romano Prodi accompagnato
dalla moglie Flavia. Muore a 83 anni,
il 15 dicembre 1996.
Progetto “indicibile”
Nella storia repubblicana, il
dossettismo è un fiume carsico,
profondo, che nei momenti di crisi
riappare in superficie. La rivoluzione
nello stato e nella chiesa. La politica
che per i cristiani non è questione di
competenze, ma di abiti virtuosi, di
avere una «lettura sapienziale» della
realtà. Un cristianesimo della Parola,
l'opposto del Dio-Patria-Famiglia. Il
progetto “indicibile”, come lo chiama
lo storico Alberto Melloni, di un
partito della sinistra cristiana già nel
1948. Dossetti viene chiamato in
causa quando si parla di
Costituzione e di Concilio, di cui è
considerato ispiratore. Nell'estate
2005, nove anni dopo la morte, il
settimanale legato a Comunione e
liberazione Tempi lo mise in
copertina, con il titolo “Il Codice
Dossetti”, come il romanzo di Dan
Brown avversato dalle gerarchie
cattoliche. Più demone che angelo,
all'epoca, per i ciellini, che invece
qualche giorno fa hanno dedicato
una ovazione alle parole citate da
Mattarella.
«La Costituzione è stata dimenticata
subito. Una volta varata è
scomparsa», disse Dossetti a Leopoldo
Elia e Pietro Scoppola, in una
conversazione del 1984 pubblicata
dal Mulino solo nel 2003. Dossetti
raccontò un episodio inedito, una
riunione dei deputati della Dc
all'Assemblea costituente in cui si
parlò di presidenzialismo, una
proposta bloccata da De Gasperi che
temeva la vittoria delle sinistre. Il
risultato fu la debolezza della
seconda parte della Costituzione su
governo e Parlamento, «un
garantismo eccessivo», lo definisce
Dossetti. Non è mai stato, come lo
hanno dipinto gli avversari, il
custode dell'intangibilità della
Costituzione. Nel discorso di Parma
del 1995, citato da Mattarella,
immaginava un federalismo
moderato, modello Germania,
l'elezione parlamentare del
presidente del Consiglio, la sfiducia
costruttiva, quorum più alti per
modificare la Costituzione e per
eleggere il presidente della
Repubblica. L'opposto del
conservatore. Ma è sempre stato
inflessibile sui principi
fondamentali della Carta. Tra questi
Dossetti, appoggiato da Aldo Moro,
avrebbe voluto inserire il diritto alla
resistenza: «La resistenza individuale
e collettiva agli atti dei poteri
pubblici, che violino le libertà
fondamentali e i diritti garantiti
dalla presente Costituzione, è diritto
e dovere di ogni cittadino», recitava il
suo articolo, poi accantonato. La
coscienza della persona viene prima
dello Stato e delle ideologie politiche.
Per questo parlare oggi di Dossetti
non significa fare storia, ma politica.
Impegnarsi, come nel 1994, con uno
schieramento «più di principio», se la
situazione dovesse richiederlo. In
memoria del “monaco ubbidiente”
che riposa nel cimitero di Casaglia,
tra le querce di Montesole, dove nel
vento la voce delle vittime chiede di
non dimenticare.

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