Il presupposto della DEMOCRAZIA: la legittimazione reciproca degli schieramenti, il potere di scelta degli elettori

 

Il presupposto della DEMOCRAZIA: la legittimazione reciproca degli schieramenti, il potere di scelta degli elettori

Marco Damilano, giornalista, saggista, conduttore televisivo e opinionista italiano, direttore de l'Espresso dal 25 ottobre 2017 al 4 marzo 2022 ed infine dal 29 agosto 2022 conduttore della striscia di informazione su Rai3, Il cavallo e la torre ha scritto un articolo pubblicato sul quotidiano DOMANI, oggi 30 luglio 2023, in cui fa un ragionamento, che io condivido e che arriva alle conclusioni seguenti:

“ […] serve una battaglia per la democrazia minima”

Sarebbe un gioco facile se si potesse ottenere LA DEMOCRAZIA CON UNA BATTAGLIA! Non è così che si ottiene un modo di vivere che presuppone proprio L’ASSENZA DI QUALUNQUE COMPETIZIONE. Una battaglia è parola violenta, che esprime il modo di risolvere i problemi nella nostra cultura patriarcale, proprio il modo che ha determinato il fallimento delle buone intenzioni del maggioritario descritte dalle parole di Giuliano Amato, riportate da Damilano.

La democrazia è un modo di vivere nel riconoscimento reciproco di legittimità e di rispetto. E’ facile da scrivere ma impossibile da ottenere con la forza o per decreto legge.

La destra è pienamente patriarcale, interpreta senza ipocrisia la cultura della competizione che vede la guerra delle elezioni per conquistare il POTERE, l’esclusione dei vinti e la sottomissione di tutto il resto della compagnia bella.

E la sinistra? E’ democratica o patriarcale?

Ebbene dalle mie osservazioni tutti i partiti dell’occidente, compresi quelli italiani, sono patriarcali.

Dalla cultura patriarcale non ci si può aspettare la DEMOCRAZIA, nemmeno quella minima indicata da Damilano.

Buona riflessione

APRIRSI ALLA SOCIETA Alla destra basta un capo Al Pd serve molto di più
MARCO DAMILANO
L'ultimo sondaggio vede Fratelli d'Italia sopra 1130 per cento, la Lega e Forza Italia in discesa, il Pd sotto il 20, il Movimento 5 stelle al 16, Azione sopra Italia viva. Sono i pesi 4 di partenza verso le elezioni europee del 2024. Quando si voterà con la proporzionale. Torna così a tavola un ospite dimenticato: il partito. Trent'anni fa il parlamento approvò la legge elettorale di cui fu relatore da deputato Dc l'attuale presidente della Repubblica la n. 276 e n. 277 del 4 agosto 1993, il mattarellum, un sistema misto di collegi uninominali, i175 per cento, e una residua quota proporzionale. Fu il vero inizio della Seconda Repubblica. A Costituzione invariata si cambiò la legge elettorale, dopo il successo del referendum Segni del 18 aprile di quell'anno. «Un autentico cambiamento di regime. Dopo 70 anni muore quel modello di partito-Stato che fu introdotto in Italia dal fascismo e che la Repubblica aveva finito per ereditare, limitandosi a trasformare un singolare in plurale», disse il presidente del Consiglio Giuliano Amato alla Camera all'indomani del referendum. Il presupposto del maggioritario erano i partiti rinnovati, la legittimazione reciproca degli schieramenti, il potere di scelta degli elettori. E successo l'opposto: i partiti si sono dissolti, sostituiti da comitati elettorali nel segno del Capo, gli schieramenti si sono formati sulla demonizzazione dell'avversario. Il risultato è stato un'alternanza di populismo e trasformismo. Le elezioni 2022 sembrano una eccezione, ha vinto e governa la coalizione votata dagli elettori. Ma la Repubblica dei partiti è stata sostituita da una partitocrazia senza partiti che in questi tempi di occupazione feroce di ogni spazio ha raggiunto punte mai viste. E c'è un vasta quota di elettori che si astiene, rimasta senza casa, la parola usata da Romano Prodi nel suo discorso di Cesena, la riflessione più compiuta «Il populismo è il rifugio del popolo rimasto senza casa», ha detto il professore. C'è una questione di democrazia interna in un anno mai Fratelli d'Italia, il partito della premier, ha sentito il bisogno di riunire una parvenza di organo dirigente. Ma il vero cuore della questione è quello denunciato da Prodi: c'è un pluralismo di associazioni, think tank, centri culturali e scientifici, che non hanno accesso alla politica. La società senza rappresentanza è l'altro volto della partitocrazia senza partiti. Leader e partito, personalizzazione e identità collettiva si tengono insieme, come dimostra in Spagna Pedro Sanchez. In Italia i partiti del Capo, a destra, possono disinteressarsi della faccenda e giocare nel rapporto diretto tra il (la) leader e il popolo assicurato dal controllo mediatico. Ma il Pd senza questo fermento è privo di linfa vitale. Per questo, accanto a quella sacrosanta per il salario minimo, serve una battaglia per la democrazia minima.



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