Per allargare le basi del consenso

 

Per allargare le basi del consenso

Alle elezioni Regionali del 12 e 13 febbraio 2023 SONO ANDATI A VOTARE 4 ITALIANI SU 10. Di questi 4 italiani solo uno ha votato il Partito Democratico Italiano. Significa che solo l’1% degli aventi diritto al voto vota Partito Democratico. Non va molto meglio a Fratelli d’Italia CON IL SUO QUASI 2%.

Questa però non è la conversazione che si è tenuta tra quelli del Pd che oggi sono impegnati a capire come fare ad avere quall’altro dei 4 italiani che vota Meloni. Voglio dire che i piddini vogliono raggiungere quello che per loro è il successo e che è rappresentato da Giorgia Meloni. A loro basta ottenere che i 2 italiani su 10 che vanno a votare, votino Pd. Ad oggi gliene manca solo uno.

La conversazione che hanno fatto a Bologna, promossa dal Governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, può essere utile per capire come coinvolgere tutti e 10 gli italiani che hanno diritto a votare e non solo 4 di loro che, come sappiamo tutti, vanno già a votare.

All’insegna del motto «la democrazia è partecipazione» Romano Prodi chiude auspicando che il Pd torni a parlare ai corpi intermedi che hanno bisogni e aspettative

Stefano Bonacciniafferma che «Abbiamo bisogno che il nostro riformismo sia popolare e di popolo. Ma anche che la nostra radicalità non diventi settarismo, minoritarismo o massimalismo».

Romano Prodiafferma che c’è tanto bisogno di radicalismo dolce.

Graziano Delrionon va per il sottile: «Il nostro non è il partito del segretario ma del popolo».

Ma per allargare le basi del consenso è necessaria una sinergia tra riformismo e radicalismo?

Ma cosa c’è sotto a queste parole riformismo e radicalismo? Voglio scrivere quello che capisco io di queste due parole che, sia chiaro, non sono presenti solo nel Partito Democratico, ma che sono l’assillo di tutti i partiti che combattono la guerra delle elezioni per conquistare il potere.

Il riformismo secondo me nasconde un partito che fa accordi con altri partiti sulle cose da fare senza fare tante storie se questi partiti sono stati in contrapposizione manifestando IDEOLOGIE ALTERNATIVE. L’UNICO OBIETTIVO E’ VINCERE LE ELEZIONI A OGNI COSTO, COSTI QUEL CHE COSTI con la conseguente CONQUISTA DEL POTERE che per essere ottenuta diviene l’opportunità con inevitabili derive di opportunismo NELLE COMPOSIZIONI DELLE LISTE E DELLE ALLEANZE che devono essere fatte con cittadini che non sono conformi al proprio partito.

Il radicalismoinvece dice che le liste PER VINCERE LE ELEZIONI E CONQUISTARE IL POTERE devono essere COMPOSTE di cittadini conformi all’ideologia e fedeli al partito. I voti non puzzano e si possono chiedere a tutti, anche a quelli che sono stati in contrapposizione e manifestano IDEOLOGIE ALTERNATIVE, ma solo quelli del partito VANNO A COMANDARE.

Tutto qui? Si, tutti i fiumi d’inchiostro e tutte le sciabolate tra capi e capetti, ha questo motivo del contendere. COMANDIAMO SOLO NOI DEL PARTITO OPPURE COMANDIAMO DIVIDENDO IL POTERE CON GLI ALTRI? Questo è il dubbio amletico di chi ha il potere e di chi non ce l’ha ma lo vorrebbe strappare di mano a chi ce l’ha.

Riformismo e radicalismo, nel significato che ho scritto, faranno diminuire ancora di più i cittadini che vanno a votare?

Per ottenere che tutti andiamo a votare, ci vuole la democrazia che, come sapete tutti voi che leggete le mie parole, è UN MODO DI VIVERE che si caratterizza da comportamenti di riconoscimento reciproco di legittimità e reciproco rispetto.

Le conversazioni dei partiti dovrebbero avere questo all’ordine del giorno.

Buona riflessione

Pd, Prodi propone una sintesi: «Serve un radicalismo dolce»
Il Professore chiude la convention di Bonaccini. Il governatore: a settembre il bis
dal nostro inviato Cesare Zapperi
CESENA L’atmosfera è un po’ da «dove eravamo rimasti?». Ma è inevitabile se sul palco sale Romano Prodi, l’ultimo leader del centrosinistra ad aver vinto le elezioni, ben 17 anni fa. Alla
convention di Energia popolare,
quella che il suo promotore
Stefano Bonaccini chiama
«area politico-culturale»
mentre altri protagonisti come
Piero Fassino e Lorenzo
Guerini definiscono semplicemente
«corrente», il Professore
è il padre nobile chiamato,
dopo una lunga assenza dalle
iniziative di partito, a proporre
la sua analisi della situazione e
a dare consigli per provare a
coltivare l’ambizione di riportare
il centrosinistra al governo.
Prodi, accolto da un’ovazione,
parte sollecitando il Pd ad
alzare la testa: «Non possiamo
continuare a essere un partito
rassegnato in un Paese rassegnato
». Ad una condizione:
prima di tutto, vanno riconosciuti
gli errori compiuti
quando il Pd ha pensato solo
agli interessi di breve periodo
».E cita il tentativo di riforma
costituzionale, la riforma
della Rai, l’eliminazione del finanziamento
pubblico ai partiti,
gli interventi nelle politiche
del lavoro. «Bisogna invece
che si ricominci a parlare
con tutti gli italiani e a tutti i livelli—
sottolinea l’ex premier
— affrontando senza paura
l’origine del declino e indicando
il cammino per la rinascita
».
Prodi evita di entrare nella
disputa fra le due anime del
partito. Conia la definizione di
«radicalismo dolce», uno di
quegli ossimori che in politica
servono talvolta ad individuare
una via d’uscita tra posizioni
contrapposte. Lui che è
sempre stato un moderato
(«non mi sono scaldato nemmeno
nel ’68, ma poi ho visto
che molti rivoluzionari d’allora
sono finiti a destra...») pensa
che per allargare le basi del
consenso sia necessaria «una
sinergia tra riformismo e radicalismo
». Non in astratto, ma
calata su temi che toccano la
vita dei cittadini: il salario minimo,
la sanità, la scuola. All’insegna
del motto «la democrazia
è partecipazione» Prodi
chiude auspicando che il Pd
torni a parlare ai corpi intermedi
che hanno bisogni e
aspettative a cui la destra non
sa dare risposte («attenzione,
però: il populismo non è un
evento casuale, è il rifugio del
popolo che non trova casa»).
Bonaccini fa la sintesi della
due giorni cesenate mettendo
in chiaro che «Energia popolare
» vuole essere protagonista
da coinquilina nella casa del
Pd. «Facciamo vivere un’area
politica-culturale che superi il
correntismo esasperato. Per
questo ho chiesto a Elly di venire
qui. Qui ci sono uomini e
donne che indossano una sola
maglietta». Ma insieme scatta
anche una riflessione che
marca le differenze: «Abbiamo
bisogno che il nostro riformismo
— sottolinea il governatore—
sia popolare e di popolo.
Ma anche che la nostra
radicalità non diventi settarismo,
minoritarismo o massimalismo
».
Le parole più forti le usa l’ex
ministro Lorenzo Guerini:
«Vabbè non segare l’albero su
cui siamo seduti, ma io temo
per la salute dell’albero se si tagliano
le radici. La dannazione
della memoria (l’esperienza
renziana, ndr) non riesco più a
tollerarla». E pure Graziano
Delrio non va per il sottile: «Il
nostro non è il partito del segretario ma
del popolo». Alessandro
Alfieri, tra gli organizzatori
della convention, chiude
mettendo in guardia la
maggioranza del partito: «Non
regaliamo la nostra storia».
Bonaccini annuncia un
nuovo appuntamento a settembre
e fa la sintesi finale:
«Da soli non bastiamo. Stiamo
perdendo voti e amministrazioni.
È necessario che il Pd riprenda
l’iniziativa politica nelle
piazze, nei mercati, nei bar.
Ritorniamo ad andare a manifestazioni
organizzate dal Pd».
Alla segretaria garantisce lealtà
in un rapporto dialettico. Ai
possibili alleati (M5S e Terzo
polo) una semplice osservazione:
«Senza il Pd non si va da
nessuna parte».

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