Non servono imam, preti, guru o duci per ottenere l'uguaglianza delle opportunità

 


Non servono imam, preti, guru o duci per ottenere l'uguaglianza delle opportunità

Gianfranco Pasquino, Professore emerito di Scienza politica nell'Università di Bologna, ha scritto un articolo pubblicato dal quotidiano Domani oggi 5 luglio 2023. In pratica secondo lo studioso, ciò che si può fare nella nostra società che non agisce il valore dell’uguaglianza delle opportunità, si riduce alla protesta, anche violenta, che anche se lo stesso Prof. Pasquino, scrive di non giustificare, allo stesso tempo però sostiene possa essere capita come processo sociale. Infine c’è la tesi del Prof. Pasquino contenuta nelle conclusioni del sui scritto:

“In assenza o per debolezza delle organizzazioni intermedie, sindacati, associazioni professionali e culturali, persino religiose, declino del cattolicesimo (un tempo ci furono i preti operai) ed isolamento settario dell’Islam, tutto lo spazio viene lasciato alla protesta, non ultima ma unica razio.”

Humberto Maturana affermava "Chi fa la domanda, deve lavorare per rispondere a quella stessa domanda che lui stesso ha formulato..."

Io sommessamente dalle mie osservazioni e dai miei studi ho potuto riflettere sulla circostanza che la discriminazione si esprime non solo attraverso indicatori economici, ma soprattutto attraverso l'esclusione sociale giustificata dagli attributi assegnati ad alcune categorie socioculturali come la dimensione etnica, l'età e il genere che, legati alla povertà, danno forma a un immaginario che, mobilita le paure della società. Ebbene sono queste TEORIE che giustificano la repressione e l'oppressione.

Pierre Bourdieu, sociologo francese, nel suo libro intitolato “La miseria del mondo”, sottolinea che "la vera medicina, secondo la tradizione ippocratica, inizia con la conoscenza di disturbi invisibili, cioè dei fatti che il la persona in preda al malessere non racconta, di quelli di cui non ha coscienza e di cui dimentica di riferire".

Quindi è mia opinione che, porre il rapporto tra “PROTESTA SCENDENDO NELLE PIAZZE” e, diritti umani esclusivamente come questione di visibilità e accesso ai circuiti della comunicazione di massa, da parte dei gruppi e dei settori sociali che oggi convivono in condizioni di disuguaglianza, non è solo ridurre un problema ai suoi "sintomi visibili", ma rinunciare alla possibilità di ripensare la comunicazione non in sé, ma in relazione ai desideri e ai progetti che ne sono il motore.

Voglio dire al Prof. Pasquino al fine di continuare a riflettere che, fondamentalmente, l’uguaglianza sociale in termini di pari opportunità non è legata all’azione di un imam, o a quella di un prete, di un guru o di un duce, ma è la conseguenza dei modi in cui noi esseri umani ci strutturiamo nel nostro rapporto con gli altri, poiché l’uguaglianza delle opportunità accade solo in condizioni di rispetto reciproco e correttezza.

Poco si guadagnerà con la creazione di associazioni, enti di carità, aiuti ai meno abbienti e qualche altra forma di azione che possiamo riflettere mettiamo in atto solo per fare pace con i nostri sensi di colpa. Anzi sono proprio queste organizzazioni e questi SANTI EROI che danno senso a un presente sempre rimandato dai fasti di un futuro sempre in fuga.

Il rafforzamento degli enti di carità e di ogni altra forma di assistenzialismo, rappresentano la riedizione del progetto dominante, che parte dal presupposto delle TEORIE CHE GIUSTIFICANO LE DISCRIMINAZIONI. Ed è per questo che non sono d’accordo con la soluzione che ha esposto il Prof. Pasquino nel suo articolo, perché TALE SOLUZIONE AGGRAVA E LEGITTIMA LE DISCRIMINAZIONI proprio perché accade in assenza di una cultura dell’uguaglianza che sostituisca la cultura attuale attraverso un lavoro fatto su se stessi per lo smantellamento critico di queste teorie, dei discorsi e dei meccanismi che rendono legittima l'esclusione ed espropriano la possibilità della parola, agli esseri umani delle periferie che non sono ascoltati dalle istituzioni.

Buona riflessione

LA CRISI DELLE ISTITUZIONI
Alla Francia delusa e lacerata non rimane che la piazza
GIANFRANCO PASQUINO accademico dei Lincei
Gilet gialli, pensionandi, giovani: tre possenti ondate di proteste anche molto violente soprattutto quella dei giovani, contro i detentori del potere politico istituzionale in Francia in definitiva contro il presidente Macron. La crescita del prezzo del carburante, l'aumento peraltro contenuto dell’età pensionabile l’uccisione, questo si, fatto gravissimo, di un giovane ad opera della polizia, sono sufficienti a spiegare gli scontri ripetuti le proteste diffuse, le violenze e i saccheggi che hanno coinvolto forse qualche milione di francesi? E’ possibile formulare una sola interpretazione capace di coprire fenomeni che appaiono molti diversi per tematiche e partecipanti? Mi è tornata in mente una frase scritta dall'aristocratico francese Alexis de Tocqueville, cito a memoria << Quando c'è un problema gli americani si associano>>. La comparazione implicita, che spiega la sorpresa di Tocqueville è con la Francia dove., se c’è un problema i cittadini prennent la rue, scendono in piazza, pretendendo la soluzione dalle autorità. Potrebbero fare altrimenti? Difficile immaginare i camionisti che fanno un lavoro settario e atomizzante dare vita ad un'assemblea nella quale esprimere le proprie doleances lamentele, improbabile che uomini e donne non iscritti ad associazioni professionali che non si sentono tutelati dai sindacati deboli trovino forme di comunicazione diverse dalla protesta in strada che obblighino il potere a confrontarsi con le loro richieste. Fuori dalla scuola perché in vacanza con istituti scolastici che non offrono luoghi e attività di aggregazione (neanche un prete/ un iman/ per chiaccherar), niente biblioteche né sale cinematografiche, forse qualche spelacchiato campetto calcio, privi di un lavoro anche occasionale, con genitori costretti a lunghi trasferimenti per raggiungere i loro posti di lavoro, quei giovani. spesso con la pelle non bianca, venti volte più suscettibili dei bianchi di essere fermati e infastiditi dalla polizia hanno un’unica modalità per farsi vedere e sentire: la protesta. Possiamo stigmatizzare la loro violenza soltanto comprendendone, non necessariamente e non automaticamente giustificandola, le condizioni l’hanno prodotta. La combinazione di una non modesta dose di autoritarismo dei detentori del potere anche poliziesco con la maturata convinzione che gli sbocchi della loro vita scolastica e lavorativa non sono affatto promettenti, certamente inferiori a quelli della maggior parte dei loro coetanei che non vivono nelle periferie, è inevitabilmente devastante. In assenza o per debolezza delle organizzazioni intermedie, sindacati, associazioni professionali e culturali, persino religiose, declino del cattolicesimo (un tempo ci furono i preti operai) ed isolammo settario dell’Islam tutto lo spazio viene lasciato alla protesta, non ultima ma unica razio.

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