Le violenze di Parigi possono far giungere ad una nuova convivenza di noi cittadini europei


 

Le violenze di Parigi possono far giungere ad una nuova convivenza di noi cittadini europei

Chi legge i miei scritti è a conoscenza del fatto che io ho sempre espresso la mia critica ai modelli politici incentrati sulla competizione, sulla negazione dell'altro, attraverso il razzismo, il maschilismo, il classismo e un completo distacco dalla Madre Terra, come se fossimo gli unici esseri viventi, presupposto questo che ci fa mettere in atto comportamenti che hanno costretto il pianeta in una crisi climatica che sta mettendo a rischio le condizioni minime di vita per noi esseri umani.

Questa rivolta popolare in Francia è una denuncia di persone che non si sentono viste da chi ha la responsabilità della gestione di quel Paese. Questo accade perché lo Stato francese non rispetta l'impegno fondamentale di ogni Stato, che è quello di prendersi cura del benessere dell'intera comunità. E questo ha a che fare con lo sfondo di questa cultura incentrata sulla competizione.

Ma allo stesso tempo, questi giorni di violenza della Francia, aprono una nuova possibilità per costruire un’Europa diversa, dove si pensi per la prima volta al tipo di convivenza che vogliamo avere, senza esclusioni, dove l'interculturalità, la sostenibilità, la diversità sessuale, l'uguaglianza di genere, il diritto alla differenza e al buon vivere, si materializzano in un nuovo quadro istituzionale, che ci permette di collegarci tra noi in un altro modo.

Ci sono stati, e ci sono ancora abusi, maltrattamenti e abbandono da parte dello Stato nei confronti dei suoi cittadini e del resto degli esseri viventi, quindi prendere sul serio queste mie riflessioni che sono quelle di Humberto Maturana Romesín e che derivano dalla Biologia culturale, materia di cui sono cultore, possono essere un buon contributo alla costruzione di un orizzonte più democratico.

Buona riflessione

Sabato 1 luglio 2023
Per la terza notte consecutiva,
tra giovedì e venerdì, le periferie
della capitale francese, così
come alcune zone del centro
e molte altre città in tutto
il paese, sono state scenario di
gravi disordini. La causa scatenante:
l’omicidio del diciassettenne
di origine algerina Nahel
da parte di un poliziotto,
avvenuto martedì a Nanterre,
nella periferia parigina.
L’uccisione del giovane Nahel,
secondo alcuni giornali,
sarebbe quindi la scintilla
che ha riattivato il fuoco delle
periferie, dove i servizi pubblici
sono carenti, le opportunità
mancanti, e dove le istituzioni
- tra cui le forze dell’ordine
- sono percepite come ostili
e razziste.
Al di là delle dichiarazioni
tempestive delle più alte cariche
dello stato, che hanno
condannato duramente la
violenza del poliziotto, e del
repentino arresto preventivo
di questi, resta lo sfondo di
una Francia molto divisa, e
della mai risolta questione
dell’integrazione degli immigrati
- ormai in molti casi
giunti alla terza generazione.
Una divisione che le dichiarazioni
profondamente razziste
dei politici di estrema destra
non fanno che fomentare
L’allenatore diventato simbolo della Francia senza più egalité
GIGI RIVA
scrittore
Christophe Galtier, allenatore del
Paris Saint Germain in odore di
esonero, è stato posto, assieme al
figlio adottivo e suo procuratore,
John Valovic-Galtier, in stato di
fermo per “discriminazione basata
su una presunta razza o affiliazione
religiosa”. Quando era al
Nizza, stagione 2021-2022, si era lamentato,
secondo l’accusa, con i
dirigenti e aveva sbottato: «Considerando
la realtà della squadra e
della città, non possiamo avere così
tanti neri e musulmani in organico
». Aveva anche riferito che la
gente, incontrandolo per strada,
era risentita perché una formazione
così eterogenea quanto ad
origine non era rappresentativa
di Nizza. Il figlio aveva rincarato
peggiorando la situazione: «Avete
costruito una rosa di feccia, metà
degli atleti il venerdì pomeriggio
va in moschea». L’imputato-padre
ha sempre negato presentando
a sua volta querela per diffamazione.
Sin qui i fatti. Dietro i
quali, nei giorni dell’ennesima rivolta
delle banlieue, si può leggere
una doppia morale. Da una parte
c’è la Francia dei diritti dell’uomo,
del motto nazionale basato
sulla trilogia liberté, égalité, fraternité,
riversati in un codice giuridico
di assoluta tutela e in base al
quale Galtier viene incriminato.
Tanto più perché fa parte di quel
mondo dove l’integrazione è riuscita
grazie a un sistema meritocratico
in cui non vale lo slogan
“prima i francesi”, sottinteso bianchi,
caro a Marine Le Pen e alle altre
destre estreme. Nessun allenatore
manda in campo giocatori
più scarsi basandosi sul colore
della pelle o sulla fede. Ed è stata
la mescolanza a garantire successi,
in passato assai scarsi, che hanno
fatto del paese una potenza
sportiva, a cominciare dal calcio
con la vittoria del mondiale in casa
nel 1998 della famosa squadra
“noir-blanc-beur”, replicata nel
2018 in Russia sempre con una
formazione multietnica. Da un
punto di vista simbolico eroi che
hanno solleticato l’orgoglio nazionale,
marxianamente atleti
che contribuiscono al business e
allo spettacolo. Molti degli idoli
degli stadi provengono dalle banlieue
e se ne ricordano se parecchi
di loro, contando sulla popolarità
raggiunta, non esitano a denunciare
l’incrudelirsi del fenomeno
del razzismo, e basti citare l’indefesso
lavoro di un Thuram, di un
Dhorasoo, tra quelli ancora in attività
Mbappe, Maignan, Kanté.
La repressione
Dall’altra c’è la Francia della faccia
truce verso i francesi-colorati
che non hanno un talento sportivo,
relegati in periferie ghetto nei
confronti dei quali si è sviluppata
una xenofobia andata di pari passo
con il crescere nei sondaggi dei
partiti anti immigrazione.
Tutti accomunati dal luogo comune
per il quale rubano i posti di lavoro,
e se non hanno un’occupazione
delinquono, rapinano, spacciano
droga, quando non aderiscono
a gruppi del fondamentalismo
islamista. Per loro è stata costruita
una narrazione ostile. Prima
a parole. “Racaille”, feccia, disse
Nicolas Sarkozy da ministro
dell’Interno nel 2005, da ripulire
“con il karcher”, un elettrodomestico
per la pulizia industriale.
E su quell’onda il linguaggio si è
sbizzarrito fino a creare un terreno
favorevole, concimato dalla
paura dei galli d’origine controllata.
Gli attentati terroristici a metà
degli anni Dieci (Charlie Hebdo,
Bataclan, Nizza) hanno ulteriormente
esacerbato il sospetto, alimentato
l’odio e le divisioni. Sino
a sfociare in una legislazione repressiva
che ovviamente vale per
chiunque ma che ha colpito soprattutto
neri e magrebini.
Problemi di razzismo
È la legge del 2017, presidente Hollande
un socialista, che ha esteso
il concetto di legittima difesa al
refus d’obtempérer”. Tradotto, le
forze dell’ordine sono autorizzate
a utilizzare le armi se non ci sono
altri modi di immobilizzare
veicoli che rifiutano di fermarsi
ai controlli e che sono “suscettibili
di perpetrare nella loro fuga
danni alla propria vita o a quella
altrui”.
Risultato: 26 persone uccise dal
2017 ad oggi, 13 nel solo 2022, contro
le 17 nei quindici anni precedenti.
Oltre a un incremento vistoso
dell’uso delle pistole da parte
degli agenti, 165 casi in media l’anno
dopo la riforma quando erano
119. Inutile aggiungere dove abitino
e a che gruppi appartengono
le vittime di questa escalation. Coperti
dal clima generale, persino
incoraggiati dal potere politico in
nome della tolleranza zero, i poliziotti
sono stati spesso casualmente
ripresi anche mentre esercitano
violenze su persone disarmate.
Ieri, dopo l’uccisione di
Nael che ha scatenato le rivolte la
portavoce dell’Alto commissariato
delle Nazioni unite per i diritti
umani ha chiesto alla Francia di
«affrontare seriamente i gravi
problemi di razzismo e discriminazione
sociale all’interno delle
forze dell’ordine». Uno schiaffo a
quella che si sempre considerata
la patria dei diritti.
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