Presidenzialismo, semipresidenzialismo e cancellierato hanno tutti egualmente le conseguenze della nostra cultura patriarcale

 

Presidenzialismo, semipresidenzialismo e cancellierato hanno tutti egualmente le conseguenze della nostra cultura patriarcale

L’occidente ha la nostra cultura patriarcale che informa tutti i comportamenti oltre che le conversazioni tra gli esseri umani. Il Prof Emanuele Felice nell’articolo pubblicato sul quotidiano DOMANI di oggi 15 maggio 2023 cerca di mitigare quanto più possibile l’epilogo della competizione per la conquista del potere che nella nostra cultura patriarcale è il POTERE ad un leader.

Suggerisce il sistema elettorale e di governo tedesco come se, il dato storico che osserva la trasformazione dei leader IN TIRANNI, possa essere scongiurato attraverso la scelta di un sistema elettorale e di governo.

L’epilogo della competizione è la conquista del potere di una parte e l’esclusione dei vinti. L’esercizio del potere consiste nella ammissione presso il Palazzo dei SOLI ESSERI UMANI SOTTOMESSI.

Riporto di seguito la descrizione della nostra cultura patriarcale redatta dal biologo cileno Humberto Maturana recentemente scomparso.

Buona riflessione

Cultura patriarcale:
Gli aspetti puramente patriarcali del modo di vivere della cultura patriarcale europea a cui appartiene gran parte dell'umanità moderna, e che d'ora in poi chiamerò cultura patriarcale, costituiscono una rete chiusa di conversazioni caratterizzate dal coordinamento di azioni ed emozioni che fanno della nostra vita quotidiana un modo di convivenza che valorizza la guerra, la competizione, la lotta, le gerarchie, l’autorità, il potere, la procreazione, la crescita, l’appropriazione di risorse e la giustificazione razionale del controllo e del dominio degli altri attraverso l'appropriazione della verità.
Così, nella nostra cultura patriarcale parliamo di lotta contro la povertà e gli abusi quando vogliamo correggere quelle che chiamiamo ingiustizie sociali, o di combattere l'inquinamento quando parliamo di ripulire l'ambiente, o di affrontare l'aggressione della natura quando ci troviamo di fronte a un fenomeno naturale che costituisce per noi un disastro, e viviamo come se tutte le nostre azioni richiedessero l'uso della forza. E’ come se ogni occasione per un'azione fosse una sfida. Nella nostra cultura patriarcale viviamo nella sfiducia e cerchiamo la certezza nel controllo del mondo naturale, degli altri esseri umani e di noi stessi.
Parliamo continuamente di controllare il nostro comportamento o le nostre emozioni e facciamo molte cose per controllare la natura o il comportamento degli altri, nel tentativo di neutralizzare quelle che chiamiamo forze distruttive antisociali e naturali, che derivano dalla loro autonomia.
Nella nostra cultura patriarcale non accettiamo i disaccordi come situazioni legittime che costituiscono punti di partenza per un'azione concertata di fronte a uno scopo comune, per cui dobbiamo convincerci e correggerci a vicenda, e tollerare il diverso solo nella fiducia che alla fine possiamo condurlo sulla strada giusta che è la nostra, o fino a quando non possiamo rimuoverlo o rimuoverlo con la giustificazione che è sbagliato.
Nella nostra cultura patriarcale viviamo nell'appropriazione e agiamo come se fosse legittimo stabilire con la forza confini che limitano la mobilità degli altri in determinate aree di azioni che, prima della nostra appropriazione, erano liberamente accessibili. Inoltre, lo facciamo conservando per noi stessi il privilegio di muoverci liberamente in quelle aree, giustificandone l'appropriazione con argomenti fondati su principi e verità di cui ci siamo anche appropriati.
Così parliamo di risorse naturali in un atto che ci rende ciechi alla negazione dell'altro che il nostro desiderio di appropriazione implica.
Nella nostra cultura patriarcale, ripeto, viviamo nella sfiducia nell'autonomia degli altri, e ci appropriamo continuamente del diritto di decidere ciò che è legittimo o meno per loro in un continuo tentativo di controllare la loro vita.
Nella nostra cultura patriarcale viviamo nella gerarchia che richiede obbedienza, affermando che una convivenza ordinata richiede autorità e subordinazione, superiorità e inferiorità, potere e debolezza o sottomissione, e siamo sempre pronti a trattare tutte le relazioni, umane o meno, in questi termini.
Quindi, giustifichiamo la competizione, cioè un incontro nella negazione reciproca, come il modo per stabilire la gerarchia dei privilegi sotto la pretesa che la concorrenza promuova il progresso sociale permettendo al meglio di apparire e prosperare.
Nella nostra cultura patriarcale siamo sempre pronti a trattare i disaccordi come dispute o lotte, gli argomenti come armi, e descriviamo un rapporto armonioso come pacifico, cioè come assenza di guerra, come se la guerra fosse l'attività più fondamentale propriamente umana.
LE VIRTÙ DEL CANCELLIERATO
C’è una riforma a cui tutta l’opposizione può dire sì
EMANUELE FELICE (*)
economista
Le riforme del governo sono solo un
diversivo? Può darsi. Ma è bene che
le opposizioni affrontino questo
snodo con le idee chiare, data
l’importanza delle nostre
istituzioni. Il presidenzialismo (o
semi) negli ultimi anni ha mostrato forti limiti:
in Brasile, con Bolsonaro, o negli Stati Uniti, con
Trump; ma anche in Francia le cose non vanno
certo bene. Il punto è che le società occidentali
sono oggi molto più polarizzate che in passato,
soprattutto per l’aumento delle disuguaglianze,
ma anche per ragioni culturali; con il
presidenzialismo, la lotta politica coinvolge
direttamente il vertice dello Stato e si perde,
quindi, la massima istituzione di garanzia.
L’Italia è anch’essa una società molto
polarizzata, sia sul piano socioeconomico
(siamo uno dei paesi con le disuguaglianze più
alte nell’Eurozona e il divario nord-sud è da
decenni ai massimi storici), sia su quello
politico-culturale (non riusciamo a metterci
d’accordo nemmeno sull’antifascismo). Il
presidenzialismo ci esporrebbe ai rischi di una
deriva, in cui chi vince prende tutto, e
probabilmente condurrebbe anche a un
aumento della conflittualità interna (politica,
sociale, culturale). L’elezione diretta del premier
(come ad esempio il «Sindaco d’Italia») si espone
alle stesse critiche, solo un po’ attenuate. È
evidente che il presidente della Repubblica ne
uscirebbe gravemente indebolito. Inoltre,
avremmo un esecutivo molto più forte del
parlamento. Noi però sperimentiamo già, da
diversi anni, uno svilimento della funzione
legislativa rispetto al governo: decretazione
d’urgenza, ricorso frequente alla fiducia, mali
evidenziati più volte da Sabino Cassese e che in
questo modo, probabilmente, peggiorerebbero.
Se l’obiettivo delle riforme è avere governi più
stabili, coesi ed efficienti, allora una soluzione,
che non abbia queste indicazioni, esiste: è il
cancellierato sul modello tedesco, con la
sfiducia costruttiva. Il premier ha la possibilità
di revocare i ministri, e il parlamento può
mandarlo a casa solo se c’è già l’accordo su un
altro governo. In Germania questo modello
funziona bene. Ma funziona bene anche perché
è parte di un assetto più ampio. In Germania
vige un sistema proporzionale di ripartizione
dei seggi, con sbarramento al 5 per cento, e con
una certa possibilità di scegliere gli eletti, in
una quota uninominale; vi sono poi regole
chiare sulla trasparenza e la democraticità dei
partiti, e sul loro finanziamento (pubblico). Vi
sono sì due camere con funzioni diverse, ma
quella a elezione diretta e che esprime la
fiducia (il Bundestag) ha ben 736 membri. È un
assetto dietro cui c’è anche un’idea di società,
più inclusiva e al tempo stesso più efficiente.
Probabilmente tutte le opposizioni avrebbero
interesse ad attestarsi su questo modello.
(*) EMANUELE FELICE è Professore Ordinario di Politica Economica presso il Dipartimento di Scienze Filosofiche, Pedagogiche ed Economico-Quantitative dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara (Italia)

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