Per un pugno di “zziti” ovvero di spighette distiche di avena selvatica (Avena fatua L., 1753)

Ogni piccolo angolo, pianta o persona di San Cesario di Lecce diviene una percezione che fa volare verso i ricordi, soprattutto del fanciullino.
E’ tempo di fioritura nel paese più bello del mondo e il risveglio riguarda le piante così come gli animali e le persone. Le lucertole in questo periodo si risvegliano dal letargo e sono meno agili rispetto al tempo dell’estate quando catturarle divien davvero difficile.
Era questo il tempo della caccia per la qual cosa era necessario provvedersi di un cappio ricavato dalle spighe di avena selvatica (avrei saputo poi si chiamassero così) che noi chiamavamo zziti che però erano le spighette che formavano quella spiga.
Ricordo che io, Sandro De Simone e Roberto Lettere andavamo a caccia di lucertole. Toglievamo dalla spiga  le spighette distiche, “li zziti”, e dal fusto che man mano procedendo verso la spiga diveniva sempre più sottile partendo dalla base sino alla cima, facevamo un cappio. Poi c’era la necessità di sputare sul cappio in maniera tale che restasse la saliva che risultava di attrattiva per le lucertole. Sicuramente ad attrarle era il Phlilenus Spumarius (la sputacchina) che si aspettavano di trovarci dentro.

Si trattava di appostarsi in prossimità dei muretti a secco per scorgere la lucertola. Bisognava fare piano, perché è vero che era sveglia da poco dal letargo invernale, ma non per questo non era in grado di essere reattiva di fronte a un segnale di presenza di un possibile predatore.
Poi si avvicinava pian pianino il cappio alla teta della lucertola che non opponeva resistenza e infine, con uno strappo del gambo d’avena, eccola che era “presa al cappio”!
Poi si procedeva camminando sulle strade di campagna che erano, vivaddio, tutte in terra battuta con dietro la “lucertola al cappio” che diveniva una specie di cagnolino al guinzaglio.
Il più bravo di tutti era il mio amico Sandro con lui tutte le mie avventure di fanciullino. Acchiappava le lucertole ma anche i piccoli passerotti che nell’estate sarebbero venuti fuori dalle uova deposte dagli uccelli nei nidi ricavati sui tetti e sugli alberi.
Mamma mia! Possibile che aver visto l’avena selvatica a San Cesario di Lecce mi abbia provocato questo fiume di ricordi?

Oltre alla caccia, “li zziti” servivano per un presagio magico di quanti fidanzati un ragazzino o una ragazzina avrebbe avuto nel corso della sua esistenza.
Si! Eravamo dei veri e propri oracoli perché, una volta raccolti nel palmo di una mano “li zziti” mettendo la spiga tra pollice e medio e tirando dal basso verso l’alto, ecco che la mano era di colpo piena di spighette (li zziti).
Si poteva ripetere l’operazione con più spighe, e si aveva un pugno pieno di zziti! Poi ci si dirigeva verso la ragazzina che “mi piace tanto” che avevamo adocchiato prima della raccolta e che, appena si accorgeva della nostra presenza correva e noi, dietro a produrci in un vero e proprio inseguimento tra strilli e grida che avevano l’epilogo nel lancio “te li zziti” sul maglioncino della ragazza che evidentemente correndo dava le spalle.  

A volte ne rimaneva uno, a volte due, a volte tanti zziti. Le ragazze restavano male quando rimaneva attaccati alla maglietta molti “zziti” non così per noi ragazzi che più se ne attaccavano meglio era!
Un rito di corteggiamento dei nostri antichi padri? Non so dirvi se anche mio padre, mio nonno, il mio bisnonno e il padre del mio bisnonno (che non saprei definire a proposito come si chiama il papà del bisnonno?) e così sino all’inizio dei tempi abbiamo fatto altrettanto.
Io e miei compagni di classe e tutti i maschi della Scuola Elementare “Michele Saponaro” dal 1963 al 1968 sino a quando l’ho frequentata facevano così.
Io l’ho sempre sentita molto l’ebrezza da profumi di primavera, l’erba alta sulla quale distendersi e il profumo di fieno che ne veniva fuori, e i sogni e le speranze e i tanti interrogativi di ciò che sarebbe stato o di quello che sarebbe potuto essere.

Adesso l’ho raccontato a mia figlia Sara che mi dice di non aver mai assisitito a nulla di simile. Qualcuno delle generazioni successive alla mia ha informazioni circa quanto ho riferito?

Bene l’ho raccontato e non andrà più perduto, soprattutto se mi dovesse accadere di avere clamorose perite di memoria. E’ accaduto tutto questo in posto sperduto nell’Universo chiamato “Terra” e nel paese più bello del Mondo a sud est della penisola italiana.


Commenti

Post popolari in questo blog

Gli esami di Stato del 1976

MESCIU ANTONIU LETTERE MEJU CU LU TIENI COMU AMICU...

Il pensiero filosofico di Humberto Maturana: l'autopoiesi come fondamento della scienza