"Canzoni di Vento e Radici"

 



"Canzoni di Vento e Radici"

Era una sera come tante, eppure aveva il profumo strano dell’autunno, un profumo di foglie e di pioggia leggera. Lui la osservava, seduto in un angolo di quella stanza affollata, mentre cercava, senza riuscirci, di sentire di nuovo quella canzone. Era una melodia che gli aveva fatto compagnia nei mesi più inquieti della sua vita, una melodia che aveva cantato mille volte, anche quando non aveva nulla da cantare. E ora, seduto lì, a pochi passi da lei, la stessa canzone gli sembrava stonata, svuotata di un senso che, chissà come, non trovava più. Eppure l’aveva amata, quel suono sottile e sfuggente, come aveva amato lei, con quel suo modo di specchiarsi nel mondo, di accarezzarlo e ferirlo senza nemmeno saperlo.

Lei stava seduta dall’altra parte del tavolo, fingendo di non accorgersi del suo sguardo, ma sentiva che la sua attenzione era lì, inchiodata su di lei come una morsa. Ecco, è così che succede quando ti innamori, pensò. Tu guardi qualcuno e, in quell’istante, inizi a vedere anche te stesso. È come se ci fosse una luce nuova, un’eco di te che si riflette nella pelle dell’altro. La guardava e la vedeva, e in qualche modo si vedeva. Quella notte, nei suoi occhi c’era la domanda inespressa che lui non aveva mai avuto il coraggio di porre.

Avrei avuto risposte bellissime per te, pensò. Risposte che avevo già pronte, ma le tue domande non sono mai arrivate. A volte l’amore è così, prepotente e disarmante, pensa di sapere tutto, pensa di poter salvare ciò che forse non vuole nemmeno essere salvato. Lei era lì, a portata di sguardo, e lui sentiva dentro un’eco, come il fruscio del vento tra i capelli. Era un vento testardo, si muoveva leggero, come se potesse raddrizzare ogni torto, annullare ogni paura. Ma era solo vento.

Era stato quello il loro errore. Il suo errore, forse, che si era illuso che l’amore potesse essere un porto sicuro in mezzo alla tempesta. Ma se sei in tempesta, il porto non lo scegli. È il mare che ti conduce, ti strattona, ti abbandona, ti raccoglie. Non è l’amore a bastare, non quando il mare è troppo vasto, non quando il cielo è troppo oscuro. A volte bisogna fermarsi e guardare le proprie radici, senza disprezzarle, senza temere l’ombra che gettano. Perché senza quelle radici, chi siamo? Senza quel passato, anche doloroso, come potremmo mai trovare una strada? Se rinneghi da dove vieni, resti a vagare, in cerca di risposte che nessuno saprà mai darti.

E poi c’era lei. Era seduta dall’altra parte, con un’espressione che gli pareva in qualche modo familiare. Come se anche lei stesse cercando un riflesso in quello sguardo, come se anche lei stesse chiedendo, senza voce: “Chi sono? E andrà tutto bene?”

Lo sapeva, però, che non sarebbe andato bene. O forse sì, ma non in quel modo che credevano loro. Ci vuole umiltà, a un certo punto, per capire che alcune ferite non le puoi guarire con l’amore, che l’altro non ha debiti da ripagare, non ha pezzi di felicità da consegnare in cambio di silenzi e attese. Lui l’aveva compreso a fatica, in quelle notti passate a rincorrere un’ombra che lei non era. Forse non era mai stata.

Era finita così, senza promesse, senza richieste. Avevano preso strade diverse, portando con sé una canzone che ormai suonava stonata. Si erano allontanati, piano, senza tornare indietro. Non puoi aggiustare una storia, puoi solo fare pace con quello che è stato e portarlo con te, come un vento leggero che ti accompagna, senza più bisogno di risposte.

Quella notte lui capì, guardando il suo riflesso nei suoi occhi, che lei era stata il porto in cui aveva scelto di fermarsi solo per sbaglio. Forse era l’autunno, o forse solo la fine della musica, ma per la prima volta sentì che non aveva più nulla da chiedere.

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