Io ho a casa una macchina del tempo

 


Io ho a casa una macchina del tempo. Già, ce l'hai anche tu. Ti basta aprire YouTube e digitare "successi del 1979". E in un attimo ti ritrovi in Via Vittorio Emanuele III, in un appartamento al primo piano, dove un gruppo di ventenni, forse un po’ disordinati, ma pieni di vita, si dava appuntamento. Erano “quelli che avevano fatto la RADIO”.

Che meraviglia, pensare ai protagonisti di quel periodo, alla loro creatività che vibrava nell’aria e all’entusiasmo di ritrovarsi a casa di chiunque. La radio era un’onda che travolgeva tutto nel 1979, un punto d’incontro che abbatteva le barriere, mettendo in fila ambizioni e sogni di giovani pieni di speranza, ma con le tasche vuote.

Ed è lì che ho incontrato lei, la ragazza che ancora oggi è qui con me. Insieme ad altri amici, con lo stereo sottobraccio, scrivevamo la vita, intessendo speranze, paure e sfide, accompagnati dalla colonna sonora di una radio che parlava di libertà.

 

 

C’è una specie di vertigine, un odore che ritorna sottile quando ripensi a quegli anni. Anni in cui l’entusiasmo aveva il volto sgualcito dei ventenni, le mani piene di speranze, i sogni fatti di niente e di tutto. Si suonava la radio nelle stanze, tra pareti che sapevano poco di quel che sarebbe stato ma sapevano di esistere. Esistere, così. Nel rumore di voci sovrapposte, nei respiri della notte e in quell’euforia che non domandava il perché, che non sapeva neanche di avere un senso, ma intanto c’era.

E allora bastava poco: un mangianastri che gracchiava, due sedie accostate, e quelle parole—sghembe, che a rileggerle oggi forse non reggerebbero neanche—che però sembravano fare da scudo a qualcosa di più grande. Un futuro che non aveva bisogno di nomi, solo di voci e di un qualche modo per credere. Era facile, no? Bastava la radio, a dirci che stavamo vivendo. Bastava un amico, un’idea a metà, una canzone. Bastava sentire che c’era un senso nel nostro essere lì, assieme. Come un patto segreto, come se ogni canzone fosse una promessa.

Adesso tutto è lì, su uno schermo, ogni ricordo ripiegato, ordinato. A distanza, per non scottarsi, per non illudersi. Eppure, ascoltando quelle canzoni, lo senti ancora quel battito, quel tamburo lontano che suonava senza mai fermarsi. Come se gli anni non potessero davvero consumare ciò che, in fondo, non ha età.

 

 

I vent’anni, allora come adesso, sembrano un porto di mare: entrano speranze, escono illusioni, si salpa alla cieca, pronti a tutto. Anche nel 2024 ci sono ragazzi che vivono in quel sottile equilibrio tra l’incertezza e il sogno, e forse è una storia che si ripete da sempre. Cambiano le canzoni, cambiano le radio—oggi è tutto nelle cuffie, negli algoritmi, in quei mondi virtuali dove le voci si intrecciano senza mai guardarsi negli occhi. Eppure, la sostanza non è cambiata.

Allora erano le radio libere, clandestine, a creare la mappa di un nuovo mondo; oggi è tutto lì, alla portata di un dito che scorre su uno schermo. La radio era un rito collettivo, un atto di coraggio: si ascoltava per credere in qualcosa. Oggi si ascolta e si guarda per non restare indietro, per non sparire in quell’oceano digitale che corre senza mai fermarsi. Ma l’inquietudine, quella fame di futuro, sono le stesse.

I ragazzi del 2024 hanno le stesse mani tese verso l’ignoto, anche se il linguaggio è cambiato. Non ci sono più i vinili e le cassette a passarsi di mano in mano, ma c’è la stessa urgenza di sentirsi parte di qualcosa che scavalchi il quotidiano. C’è il desiderio di lottare per essere visti, di farsi strada in un mondo che, più che aprirsi, sembra voler chiudere le porte. E alla fine, resta quella ricerca ostinata di senso: il sogno di una comunità, il bisogno di ritrovarsi, magari in una canzone, in un video, in uno spazio virtuale, ma pur sempre insieme.

E così, i miei vent’anni e i loro, separati da un’epoca di cambiamenti, si stringono la mano in un patto silenzioso. Perché l’idea di vivere a pieno, di non accontentarsi mai, di cercare “quel qualcosa” che sta sempre un po’ più in là, è una fiaccola che passa da generazione a generazione, senza mai spegnersi del tutto.

 

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