Il Potere delle Relazioni: Attivare l'Inconscio e Stimolare il Benessere Sociale
Il Potere delle Relazioni: Attivare l'Inconscio e
Stimolare il Benessere Sociale
di Antonio Bruno
La relazione tra persone per funzionare
deve riuscire ad attivare l’inconscio e stimolare il rilascio di endorfine che
possano gratificare gli stati di riduzione delle difese psicologiche per
partecipare al comune sentire.
Liberamente adattata attingendo dallo scritto
di Salvatore Colazzo, La passione del cervello per il sacro Quotidiano di Puglia
Edizione di Lecce di Sabato 26 ottobre 2024
La frase
proposta evidenzia come le relazioni interpersonali, per essere veramente
efficaci e significative, debbano coinvolgere non solo il conscio, ma anche il
livello inconscio della psiche, attivando meccanismi neurochimici che
favoriscono il benessere psicologico e fisico. Questo concetto può essere
ampliato a diverse forme di relazioni sociali, dalle amicizie ai legami
familiari, fino alle interazioni professionali.
Il Ruolo dell’Inconscio nelle Relazioni
L’inconscio
gioca un ruolo fondamentale nel modo in cui percepiamo e interagiamo con gli
altri. Secondo Freud, molte delle nostre emozioni e comportamenti sono guidati
da processi inconsci, il che implica che le nostre relazioni possono essere
influenzate da esperienze passate e dinamiche nascoste. "Le esperienze
infantili, i traumi e le relazioni parentali formano il nostro schema
relazionale adulto" (Freud, 1920). Queste influenze possono
manifestarsi nelle nostre interazioni quotidiane, portando a comportamenti
reattivi o difensivi che ostacolano una comunicazione aperta e autentica.
L’Importanza delle Endorfine
Il rilascio
di endorfine durante le interazioni sociali è cruciale per creare legami
profondi. Le endorfine, noti neurotrasmettitori che alleviano il dolore e
generano sensazioni di euforia, sono attivate in situazioni di connessione
sociale e positività. "Le interazioni positive tra le persone possono
innescare il rilascio di endorfine, contribuendo così a creare un ambiente
favorevole alla cooperazione e alla comprensione reciproca" (Buckley
& Haslam, 2005). Ciò è particolarmente evidente in relazioni come
l'amicizia, dove il supporto emotivo e la condivisione di esperienze possono
portare a un miglioramento del benessere.
Riduzione delle Difese Psicologiche
La capacità
di abbattere le difese psicologiche è fondamentale in qualsiasi relazione,
poiché queste difese possono essere ostacoli alla vulnerabilità necessaria per
una connessione genuina. Quando le persone si sentono sicure e accolte, tendono
a essere più aperte e ricettive. "Le relazioni sane riducono l'ansia e
favoriscono la vulnerabilità, permettendo un’esperienza condivisa di
autenticità e accettazione" (Brown, 2012). Nelle relazioni familiari,
per esempio, la creazione di un ambiente di sostegno consente ai membri della
famiglia di esprimere le proprie emozioni senza timore di giudizio, rafforzando
i legami affettivi.
Applicazioni nelle Relazioni Professionali
Nelle
dinamiche lavorative, l’attivazione di processi simili può migliorare
l’efficacia del team e la soddisfazione lavorativa. Un ambiente lavorativo che
promuove interazioni positive e supporto reciproco stimola non solo la
produttività ma anche il benessere psicologico dei dipendenti. "Le
aziende che incoraggiano il supporto tra colleghi e la comunicazione aperta
tendono a avere team più coesi e motivati" (Goleman, 1995). Ciò
dimostra che il benessere emozionale, alimentato da relazioni positive, può
avere un impatto diretto sulla performance professionale.
Conclusione
In
conclusione, la frase iniziale serve da base per riflettere sull’importanza
della dimensione inconscia nelle relazioni sociali. Stimolare il rilascio di
endorfine e ridurre le difese psicologiche non solo favorisce relazioni più
sane e gratificanti, ma contribuisce anche a costruire una società più empatica
e coesa. Le relazioni, in tutte le loro forme, devono quindi essere curate
affinché possano attivare il potenziale umano più profondo, favorendo il
benessere individuale e collettivo.
Antonio
Bruno
Riferimenti
- Buckley, K., & Haslam, S.
A. (2005). The effects of social identity on the motivation to
interact: Evidence from two studies. Group Dynamics: Theory,
Research, and Practice.
- Brown, B. (2012). Daring
Greatly: How the Courage to Be Vulnerable Transforms the Way We Live,
Love, Parent, and Lead. Penguin.
- Freud, S. (1920). Beyond the
Pleasure Principle. Standard Edition.
- Goleman, D. (1995). Emotional
Intelligence: Why It Can Matter More Than IQ. Bantam Books.
Salvatore Colazzo, La passione del
cervello per il sacro Quotidiano di Puglia Edizione di Lecce di Sabato 26
ottobre 2024
LA PASSIONE
DEL CERVELLO
PER IL SACRO
Salvatore COLAZZO
In questi giorni mi è capitato tra le
mani un libro che spesso mi piace poter sfogliare: “Psicoanalisi della musica”
di Franco Fornari. Questo testo vide la luce, per Longanesi, nell’ormai lontano
1984. Fornari descrive la poppata del neonato come l’archetipo del melodramma:
un concorso di sensazioni multisensoriali induce una condizione estatica. Noi,
durante la vita adulta, cerchiamo di recuperare questa sensazione di
fusionalità, generatrice di profondo benessere.
Uno dei modi per farlo ci viene dalla
musica. Questa è in grado di favorire uno stato di immersione in cui l’io può
lasciar cadere le proprie difese e far emergere le fantasie inconsce e i
rimossi, in ciò è esperienza insieme gratificante e trasformativa.
Gli stati alterati di coscienza indotti
dalla musica sono in stretta connessione con l’esperienza del sacro, come ben
sanno le società arcaiche, che proprio ricorrendo alla musica, alla danza e ad
altre forme di sincronizzazione delle azioni, riuscivano a procurare uno stato
di profonda identificazione collettiva.
Sacro è quell’effervescenza collettiva
di cui parla Georges Lapassade, per esempio in “Saggio sulla transe” (un testo
pubblicato da Feltrinelli, nel 1980) in cui l’io travalica sé ed è saturato da
un senso di unità col gruppo, se non addirittura con l’universo.
Il senso del sacro si trasfonde in riti,
cerimonie, è oggettivato in simboli che chiedono di essere riveriti.
Il sacro è insieme desiderato (sentirsi
parte di un tutto) e temuto (c’è il timore di perdere se stessi in questo
tutto, “ove per poco / il cor non si spaura”).
Nelle cerimonie e nei riti si verifica
l’intrinseca ambivalenza del simbolo che mette in moto nel contempo forze di
rinnovamento, di trasgressione, e spinte, contrarie, di ribadimento e
istituzionalizzazione: libera energie - grazie alle quali è possibile avvertire
potentemente il senso di “communitas” - che vengono prontamente imbrigliate
nelle forme dell’ordinaria convivenza civile.
Il sacro è profondamente radicato
nell’uomo e probabilmente riguarda anche qualsiasi vivente dotato di mente.
Questo ci pare voglia dire Gregory Bateson (da “Ecologia della mente” fino a
“Dove gli angeli esitano. Verso un'epistemologia del sacro”, scritto con la
figlia Cathy), il quale qualifica il sacro come qualità psichica emergente per
la quale un essere vivente è in grado di rispecchiare la complessità sistemica
avvertendo sé e il contesto, sé nel contesto. Noi umani diciamo “bello” ciò che
ci sembri manifestare il regolare funzionamento dell’ordine dinamico delle cose
e delle relazioni che le tengono assieme in un tutto.
Quando, abbandonando il nostro desiderio
di previsione e di controllo, di subordinazione dell’ordine del tutto al nostro
ridotto ordine, agiamo per preservare l’auto-organizzazione del vivente,
riconosciamo la sua eccedenza rispetto alla capacità di comprensione della
mente umana: è qui che la mente salta di livello, si scopre estatica, oceanica.
Dimostrare “scientificamente” che il
cervello umano sia predisposto al sacro è la sfida che si sono posti alcuni
neurologi, fra questi l’italiano Paolo Fabbro, autore di articoli e libri
sull’argomento (fra gli altri l’impegnativo “Neurofisiologia dell’esperienza
religiosa” pubblicato per l’Astrolabio). Egli, studiando, con tecniche di
neuroimaging, le aree del cervello che si attivano durante la meditazione, la
preghiera, la partecipazione ai riti ha evidenziato come vengano coinvolte
diverse regioni cerebrali, a partire da quelle più antiche fino alla corteccia
prefrontale e al lobo temporale, il che sta ad indicare sia l’origine evolutiva
remota del senso del sacro sia la capacità di complessificarsi via via che il
cervello si è evoluto interessando aree deputate a funzioni cognitive
complesse, memoria, emozioni.
Legandosi al linguaggio, il senso del
sacro si fa religione, che lo istituzionalizza e lo gestisce in funzione di
alcune necessità legate alla natura profondamente sociale dell’essere umano.
Robin Dumbar, autore di un testo la cui
introduzione all’edizione italiana è stata scritta da Fabbro (“Come la
religione si è evoluta”, Mimesi editore) spiega di come l’essere umano abbia la
necessità di adottare tecniche idonee ad assicurare la coesione sociale
gestendo opportunamente lo stress causato dalla convivenza che è generatrice di
occasioni di conflitto che devono essere governate con la forza dei simboli e
la performatività dei riti allo scopo di ribadire la maggiore valenza del noi
rispetto alle istanze dell’io, a cui pure tuttavia bisognerà concedere qualche
spazio di espressione.
Ne deriva una conseguenza sulla quale
varrebbe la pena riflettere: la religione per funzionare deve riuscire ad
attivare l’inconscio e stimolare il rilascio di endorfine che possano
gratificare gli stati di riduzione delle difese psicologiche per partecipare al
comune sentire.
Probabilmente il senso del sacro potrà
essere una risorsa a cui attingere nel momento in cui ci troveremo a scegliere
un altro modo di vivere, più in continuità col resto del vivente. Avremo
bisogno di una religione, anch’essa profondamente rinnovata. Qualche spunto ce
lo sta offrendo Francesco, sapremo rinnovare simboli e riti per motivare i
nostri sforzi?
Salvatore
Colazzo
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