"Il Limbo delle Cose Sospese" (racconto)
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"Il Limbo delle Cose Sospese"
Arrivati a quel punto, dicesti: o si va oltre, o non ci si vede mai più.
Ti guardai senza capire, o forse senza voler capire. Per te era una scelta da prendere, un bivio inevitabile. O tutto o niente. Ma io, io sapevo che il bello era proprio quel punto. Quell'istante fragile, sospeso, che si reggeva su un filo sottilissimo di non detto, di sguardi evitati e di promesse taciute.
Non capivi che era il limbo delle cose sospese a renderlo speciale. Era rimanere lì, nel mezzo. Non andare avanti, non tornare indietro. Lasciarsi cullare dalla tensione di un permanente principio, dove tutto era ancora possibile, dove non c'erano risposte, ma solo domande. Lì, in quel nascondiglio di una vita nell'altra, un gioco che si rinnovava ogni giorno.
Ma tu forzasti la mano. E io, che avevo sempre giocato la mia vita come un pokerista, persi tutto. Non avevo altro da mettere sul tavolo se non quella sospensione che ti teneva ancora legata a me. E quando la partita finì, restai con il vuoto in mano.
Sei andata via, come un soffio di vento che si spegne senza far rumore. E io rimasi lì, in mezzo alla strada, cercando di ricostruire quello che eravamo stati. Ma non si può tornare indietro, non si può recuperare l'inizio. Una storia, una volta esplosa, non si richiude come un fiore che torna bocciolo.
Eppure, non ero sicuro di aver perso. Perché, in fondo, eri stata mia. Non la prima, non l'ultima, nemmeno l'unica. Ma mia. E non importa quanti prima di me, o quanti dopo. Se mi hai amato adesso, anche solo per un istante, cos’altro conta? Nessuno è perfetto, nemmeno tu. Nemmeno io lo sono. E insieme non lo saremmo mai stati. Ma tu sapevi farmi ridere, sapevi farmi pensare, farmi sentire vulnerabile. Ed era questo che ti rendeva perfetta per me.
Ti ho dato quello che potevo. Forse non era abbastanza. Forse non era tutto. Ma era mio, e te l'ho dato. E tu mi hai dato una parte di te, quella più fragile, quella che sapeva che avrei potuto spezzarla con una parola. Non l'ho spezzata, non ci sono riuscito, e non avrei mai voluto farlo. Ma nemmeno potevo trattenerla per sempre.
Mi hai detto che non pensi a me ogni secondo della giornata, ma quando lo fai, mi pensi davvero. E questo, forse, è ciò che conta. Le storie non ritornano indietro. Si costruiscono solo da quello che c'è, non da quello che c'era. E noi eravamo qui, alla fine, due persone che si sono guardate e si sono capite. Non come all'inizio, ma per quello che siamo diventati.
Il tempo è fuggito così in fretta che l'animo non ha avuto il tempo di invecchiare. Il mio animo, lo stesso da quando ho scoperto di essere io l'immagine riflessa nello specchio, lo stesso da quando ho iniziato a capire chi sono. E il tuo, immagino, non è così diverso. Il tempo non esiste per l'anima, non per la nostra.
Così ora mi ritrovo qui, con il ricordo di un amore che non si è mai completato. Ma se ti entra nella testa, può entrarti dappertutto, mi dicevo. E tu, in qualche modo, ci sei riuscita. Anche se non sei più qui.
Non ho mai desiderato restare dove non mi sento fiorire. Ma forse il segreto era accettare di non essere perfetti, di non aspettarsi altro che quel frammento di vita che ci siamo dati. Lasciarsi andare con la vita, con quello che c’è. Fluire, come fa il fiume, che non torna mai al suo inizio, ma accoglie ogni curva, ogni svolta, senza sapere dove andrà a finire.
Forse, alla fine, era questo il successo: fare della propria vita ciò che si desidera, anche se a volte si desidera solo rimanere fermi, nel limbo delle cose sospese.
Antonio Bruno
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