Parole, parole, parole. Troppe, forse.
Parole, parole, parole. Troppe, forse.
Ci troviamo immersi in un mare di parole, parole che ci circondano e ci sovrastano, spesso senza portare alcun vero contenuto. Da qualche tempo, ci dicono gli studiosi, il nostro linguaggio è diventato più volgare, più crudo, quasi violento. Qualcuno dice che è una reazione all'ipocrisia di una vecchia retorica, fatta di frasi fatte, di convenzioni che cercavano di coprire con eleganza i vuoti, i non detti, e magari qualche bugia. Insomma, parole nuove, ma con dentro sempre il solito vecchio significato.
Ma io mi domando: ci serve davvero parlare così, con rabbia e disprezzo, per dire la verità? Non basterebbe parlare con rispetto, ma un rispetto vero, che venga dal cuore? Perché alla fine, il vero problema non sono le parole che usiamo, ma ciò che ci sta dietro. Se diciamo parole educate senza crederci davvero, se siamo falsi, prima o poi verremo scoperti. La finzione ha le gambe corte, lo sappiamo tutti.
E allora ecco il punto: bisogna essere sinceri, dire quello che pensiamo. Però con un'avvertenza: la sincerità non deve diventare un'arma. Essere sinceri non significa offendere, ferire, umiliare l'altro. Se ciò che diciamo serve solo a far male, siamo solo stupidi o cattivi. Dobbiamo riflettere: posso dire la verità senza far soffrire l'altro? Posso essere onesto senza essere crudele?
Parlare, dialogare, è ciò che ci rende umani. Non siamo fatti per gridarci addosso, non siamo fatti per distruggere. Come nella Torre di Babele: quando gli uomini non si capirono più, non poterono più costruire. E anche oggi, se continuiamo a usare le parole per dividerci, non andremo da nessuna parte. L'uomo, in fondo, ha sempre avuto bisogno di collaborare, di costruire insieme, e senza il rispetto reciproco questo non può accadere.
Allora sì, diciamolo sempre quello che pensiamo, ma con intelligenza, con rispetto. Perché in fondo, le parole non sono tutto: è il senso dietro di esse che conta davvero.
Antonio Bruno
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