Era una stanza vuota, eppure piena di te.

 


Era una stanza vuota, eppure piena di te.

Le notti erano lunghe, come maree che non si ritirano mai. Mi rigiravo nel letto, e il lenzuolo diventava una rete che mi tratteneva. Volevo vivere nella dolcezza, capisci? Come in una casa di vetro dove la luce entra da ogni lato, e non c’è bisogno di nulla. Ma tu mi manchi.
Mi hanno detto che questo non è amore. Che amare vuol dire stare bene anche nella distanza, che l'amore è libertà. Libertà. È un concetto bello nei libri, ma chi teorizza non ha mai visto i tuoi occhi quando ridono. Se li avessero visti, se avessero sentito quella piega dolce della tua voce che cade sui nomi, come se ogni parola fosse accarezzata prima di essere detta, forse avrebbero smesso di parlare. Forse sarebbero rimasti in silenzio. Come me, ora.
Non era possibile vivere senza di te, eppure ci provavo.
E dall'altra parte c’eri tu, che non lo sapevi subito. Non lo sapevi mai subito. Ti aggiravi nel tuo giorno come un'attrice che recita una parte sbagliata, e nessuno te lo dice. Sentivi quel fastidio, quella fitta che non ha un nome. Hai pensato fosse fame, perché è sempre più facile credere che sia il corpo a gridare, piuttosto che il cuore. Hai mangiato. Hai riso. Sei uscita, come fanno tutti, cercando di convincerti che sei viva davvero. Ma niente.
E poi, fissando il soffitto, l'illuminazione: mi manchi.
Cosa vuol dire, poi? Mancare. È una parola così piccola, ma dentro ci sta un mondo. Vuol dire che l’aria è diversa senza di te, che le strade si accorciano e i giorni si allungano. Vuol dire che un caffè non è un caffè, ma una scusa per tenersi occupati le mani. Vuol dire che una notte diventa un deserto dove nemmeno le stelle hanno il coraggio di brillare.
Non è possibile vivere senza di te. Eppure ci provo. Ogni giorno, come se fosse la prima volta che mi manchi. Ogni giorno, come se fosse l’ultima volta che lo dirò.

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