"Le Curve di Parigi"

 


"Le Curve di Parigi"

Parigi, primavera. Le luci che riflettono sulla Senna hanno qualcosa di magico, come se la città fosse un sogno che non si vuole svegliare. Sembra tutto sempre così perfetto, ma in realtà è solo il filtro di un momento che vogliamo che duri il più a lungo possibile. È la magia che fa sembrare ogni cosa più bella, più speciale.
E io sono lì, seduto in un piccolo caffè a Montmartre, dove il mondo sembra rallentare un po’ e dove, di tanto in tanto, passi il pensiero che questa città possa curarti, ti faccia sentire che tutto ha un senso, anche quando non ne hai uno. Mi piace osservare, lo ammetto. E proprio in quel momento, mentre il mio caffè si raffredda e io sono perso nei miei pensieri, vedo lei.
Non la vedo come una figura da ammirare da lontano, una di quelle che ti fanno dire “che bella”, ma proprio un corpo che si muove, che ha una sua vita. Non è il vestito, non è il trucco, è lei. Il suo corpo, con quelle curve che sembrano raccontarti storie, senza dire una parola. È come se la città stessa l’avesse disegnata così, con ogni passo che fa, con ogni sguardo che lancia.
Mi viene in mente quella frase di Mae West che diceva: "Coltiva le tue curve, potranno essere pericolose, ma non potranno mai essere evitate." E io la guardo, e penso che c'ha ragione. Non sono le gambe, non è solo il viso. È tutto. È il corpo di una donna che ti invita senza fare nulla, che ti sussurra "guardami", senza dirlo, ma con ogni movimento.
Lei si siede al tavolo accanto al mio, e io non posso fare a meno di osservarla, ma non è una cosa volgare, non è uno di quei guardare da lontano come se fosse un oggetto. È più una curiosità, una voglia di capire cosa ci sia dietro quelle movenze, quelle curve, quel sorriso che non ha fretta di farsi vedere. È come se fosse una promessa di qualcosa che non ti aspetti, ma che ti fa venire voglia di scoprirlo.
“Un vestito non ha senso a meno che ispiri gli uomini a togliertelo di dosso,” pensi a quella frase di Françoise Sagan. Ma non è questo il caso. Lei non ha bisogno di fare niente per farti capire cosa ha. È nel modo in cui si siede, in come incrocia le gambe, in come muove la mano per prendere il caffè. È tutto lì, ed è tutto così naturale che ti fai quasi violenza a non fissarla troppo. È una di quelle donne che ti fanno pensare che il corpo parli, che racconti delle cose senza sforzo. E non c'è bisogno che tu capisca tutto subito. È una sensazione, una di quelle che non sai spiegare ma che ti attraversano, come una canzone che non conosci, ma che ti emoziona lo stesso.
Penso anche a quelle parole di Caramagna: “Le curve sono quelle cose che hanno anche gli uomini, ma stanno decisamente meglio sulle donne.” E non so perché, ma mi viene in mente che questa città, questa donna, queste curve, mi fanno sentire che c’è una parte di me che non avevo mai visto, una parte che si risveglia solo quando sei in un posto che ti fa sentire vivo. Paris, la città dell’amore, ma anche quella che ti dice che l’amore è una cosa che non devi cercare, ma che ti colpisce mentre stai semplicemente vivendo.
Poi, senza dire nulla, lei si alza. Si allontana. E io resto lì, a guardarla mentre scompare dietro la porta. Mi sento come se avessi appena vissuto qualcosa, come se fosse già successo qualcosa, anche se non è successo niente. Perché in fondo, anche i silenzi sono parole, e io in quel silenzio ho sentito che c’era tutto. “Le curve di una donna: la più bella distanza tra due punti,” penso, e sorrido, pensando che forse una frase così non c’è bisogno di dirla. Si sente.
Parigi ti lascia sempre con quella sensazione che l’amore sia un qualcosa che ti trova mentre non lo stai cercando. E io, in quel momento, capisco che è vero. Non si può evitare. Anche se non c’è stata una parola, un bacio, un gesto. C’era solo quella bellezza silenziosa. E forse, alla fine, è quella la vera magia.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona e una persona che balla
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