"L'eco di un desiderio"

 


"L'eco di un desiderio"

Di Antonio Bruno

 

Non commento più i miei desideri, né tento di giustificarli. Li accolgo come un cielo che muta sopra di me, in silenzio, quasi fosse una presenza antica che si insinua tra i miei pensieri. Lei è arrivata così, senza che la cercassi, senza che un mio passo si dirigesse verso di lei. È l’attrazione che ha scelto di trovarmi, di ancorarsi al mio fianco come una corrente oscura, un fiume sotterraneo che percorre il mio corpo, che respira accanto a me, ricordandomi che c’è un caos dentro di me capace di risvegliarmi.

Eppure, all’inizio, la mia mente si ribellava, un fuoco denso di ammonimenti e barriere. Mi dicevo: “Lei ha un marito, ha figli, ha un’intera vita in cui io non sono altro che un’ombra, uno spiffero di vento che non dovrebbe nemmeno sfiorarla.” Era una litania che ripetevo senza tregua, pensando che quell’argine potesse proteggermi, tenermi al sicuro. Ma infine ho smesso. Ho smesso di spiegare e di negare, di reprimere il fuoco che divampava in silenzio.

Non racconto più a me stesso la mia esistenza, non mi giustifico pensando alla mia famiglia, alla mia casa, al mio stesso ruolo nel mondo. Ora mi chiedo se la vita abbia voluto donarmi questa attrazione per portare caos, per ricordarmi che la mia anima non è un ordine immutabile. Un vento improvviso è arrivato, scardinando finestre, spalancando porte, trascinandomi in un turbine che mi scuote, mi svela angoli nascosti che avevo creduto di poter controllare.

Lei è lì, una fiamma che non brucia solo per distruggere, ma per rivelare, per far luce su quello che ho dimenticato di essere. È come se il suo sguardo entrasse dentro di me, fino a quella parte che nessuno conosce, finché non restano che ombre e luce, mescolate come un dipinto che non chiede spiegazioni. È una presenza, un respiro sospeso che mi sussurra che il mio cuore batte ancora, che sono ancora vivo in questo desiderio che va oltre ogni logica, che non ha alcun bisogno di giustificazione.

Ora so che certe attrazioni sono destinate a restare inspiegabili, come un soffio che riporta alla vita. Non sono qui per essere addomesticate, ma per ricordarci, con quel fervore che si innalza dal profondo, che l’esistenza non può essere solo ragione e prudenza. E accetto questo caos come parte di me, un sussurro di verità dimenticate, una promessa che mi riporta, infine, all’essenza stessa di vivere.

La prima volta che ci siamo trovati l’uno di fronte all’altra, con i nostri rispettivi mondi al seguito, è stato come se l’aria tra noi avesse cambiato consistenza, divenendo densa, palpabile. La stanza era colma di risate e conversazioni intrecciate, con i nostri figli che correvano tra le gambe degli adulti e i nostri coniugi intenti a discutere amabilmente, ignari della corrente nascosta che ci trascinava in silenzio.

Io l’ho notata prima che i miei occhi trovassero il coraggio di fermarsi su di lei. Era lì, sorridente, circondata dai suoi, i gesti gentili, misurati, mentre passava una mano tra i capelli del marito, come a voler rassicurare anche se stessa di quella quieta normalità. Ma io vedevo al di là del suo sorriso – nei suoi occhi che sfioravano i miei solo per un istante, come due uccelli spaventati che non osano posarsi.

E poi, in quel fugace attimo in cui nessuno ci stava osservando, i nostri sguardi si sono incontrati. È stato come se tutto il rumore attorno si fosse spento, come se il mondo stesso avesse trattenuto il fiato. Un attimo sospeso, immobile, durante il quale sentivo il battito del mio cuore riecheggiare nel petto, risuonando con lo stesso ritmo che leggevo nei suoi occhi. In quel silenzio, c'era tutto ciò che non potevamo dire, tutto ciò che la presenza delle nostre famiglie ci imponeva di soffocare.

I bambini si rincorrevano attorno a noi, le voci degli altri sovrastavano il nostro silenzio. Eppure era come se la stanza ci avesse inghiottiti in un tempo che apparteneva solo a noi, un frammento rubato che sfuggiva a ogni controllo. I miei occhi hanno seguito un ricciolo che le sfiorava il viso, e il mio respiro si è fatto più breve, più greve, mentre cercavo di reprimere il desiderio di avvicinarmi, di toccarla anche solo con la punta delle dita.

Lei ha distolto lo sguardo per prima, le guance impercettibilmente arrossate, con una calma apparente che celava l’uragano che percepivo dentro di lei. Ha preso il bicchiere, sorseggiando lentamente, mentre io mi trovavo a lottare per mantenere il controllo di ogni gesto, di ogni parola. Ogni movimento era un’ombra, ogni gesto carico di un non detto che solo noi potevamo leggere.

Il marito le ha sussurrato qualcosa all’orecchio, e lei ha sorriso in risposta, un sorriso che non arrivava agli occhi. Un calore sottile mi bruciava la pelle mentre la osservavo – la stessa fiamma che ardeva in me ardeva anche in lei, in quel sorriso teso, in quella risata troppo controllata. Lei sapeva che io sapevo. In un mondo di vicinanza forzata e convenevoli, solo noi sapevamo dell’attrazione che, invisibile, ci teneva avvinti.

Per il resto della serata, abbiamo continuato a muoverci come due satelliti in orbite obbligate, scrutandoci con la coda dell’occhio, trovandoci improvvisamente vicini solo per allontanarci subito dopo. Ma ogni sorriso, ogni sguardo fugace, ogni parola scambiata con gli altri attorno a noi era un messaggio in codice, un impulso trattenuto, un desiderio appena contenuto.

Quando finalmente la serata è giunta al termine, e le rispettive famiglie hanno iniziato a salutarci, ci siamo sfiorati con un tocco breve, casuale, come per sbaglio. Eppure, in quel tocco c’era un universo intero – una promessa, un addio, e la certezza che, nonostante tutto, nessuno avrebbe potuto comprendere ciò che viveva, segreto e violento, sotto la superficie dei nostri mondi apparentemente perfetti.

Quella notte, il sonno si rifiutava di giungere. Ogni volta che chiudeva gli occhi, il ricordo del suo sguardo tornava vivido, più reale delle ombre che oscillavano sul soffitto. Avrebbe voluto scacciare quel pensiero, spegnerlo come una lampada, ma lui era lì, presente e intangibile, come una fiamma che arde silenziosa nel buio.

Si voltò sul cuscino, cercando una posizione comoda, ma il suo corpo era irrequieto. Ogni fibra sembrava aver conservato il suo tocco leggero, quella breve carezza che li aveva collegati quando, per un istante, le loro mani si erano sfiorate. Il cuore le pulsava nelle tempie, un battito che sembrava scandire il nome di lui, muto e insistente.

Guardò suo marito dormire accanto a lei, il volto sereno e rilassato, ignaro del tumulto che le abitava l’anima. Provò un senso di colpa, un mormorio scomodo che le scivolava dentro come un sasso lanciato in uno stagno calmo. Ma il pensiero di lui, di quel magnetismo inspiegabile che li aveva catturati, annullava tutto. Era come se la vita, in un lampo, avesse rivelato un territorio nuovo e proibito, un luogo dentro di sé che credeva perduto o forse mai davvero esplorato.

Ripensò al suo sorriso appena accennato, a quel modo intenso in cui l’aveva guardata mentre attorno a loro tutto continuava a scorrere. Era come se l’avesse vista per quello che era, al di là del ruolo che recitava ogni giorno, della maschera che indossava con gli altri. In quegli occhi c’era una promessa di libertà, una via di fuga che non aveva mai osato immaginare. Ed era proprio quella promessa a tormentarla adesso, una vertigine a cui non sapeva dare un nome.

Si sedette nel letto, osservando la finestra socchiusa che lasciava entrare un filo d’aria fredda. Era un freddo che sembrava richiamarla a una realtà più salda, più sicura. Ma nel silenzio della notte, la sicurezza non era sufficiente a placare quel desiderio senza nome, quel bisogno di sentirsi viva come non le accadeva da tempo.

Si lasciò ricadere sul cuscino, esausta ma ancora piena di quella febbre silenziosa. "Domani," si disse, "domani tornerò alla mia vita, metterò distanza tra me e lui." Eppure, mentre lo pensava, sapeva che era una promessa vana, un tentativo disperato di tornare indietro in un cammino già tracciato.

Rimase a occhi aperti, incatenata tra l’oscurità della sua stanza e la luce di un desiderio che non poteva spegnere.

Rientrato a casa, lui si era mosso in silenzio, con la cautela di chi teme che ogni rumore possa tradire un pensiero troppo nascosto, troppo vivo. Sua moglie gli aveva rivolto un sorriso stanco, scambiandosi poche parole mentre lei si dirigeva in camera. Lui l’aveva seguita, meccanicamente, come se fosse guidato da abitudini ormai incise in lui. Ma la mente, quella, vagava altrove.

Mentre sua moglie si preparava per la notte, lui si era fermato in soggiorno, lasciando che l’oscurità della casa lo avvolgesse. Restò lì per qualche minuto, la mente piena di immagini indistinte ma pulsanti, come scie luminose in un buio profondo. Il ricordo di lei era ancora vivido, ancorato addosso come una fragranza che non riusciva a togliersi dalla pelle.

Rivedeva il suo sguardo sfuggente, il lieve tremore delle sue mani quando si erano sfiorati per un istante. Erano stati attimi rubati, minimi, eppure sufficienti a risvegliargli un desiderio che credeva perduto. Non era una mera attrazione; era come se lei fosse riuscita a scardinare un’antica porta dentro di lui, una porta che neanche lui aveva mai avuto il coraggio di aprire.

Si ritrovò davanti alla finestra, guardando fuori, perduto nei propri pensieri, mentre sua moglie già dormiva, inconsapevole di quella tempesta silenziosa che gli cresceva dentro. Il silenzio della notte era lo stesso che aveva sentito quando i loro sguardi si erano incontrati, come un velo che calava tra loro e il resto del mondo, lasciandoli sospesi in una realtà parallela, solo loro.

Gli tornavano in mente i suoi gesti: il modo in cui lei abbassava lo sguardo, il lieve sorriso che lanciava al marito, un sorriso che lui ora riconosceva come una maschera, una difesa. Lui sapeva di essere diventato una presenza nel suo silenzio, una fiamma che riscaldava la sua notte, forse con la stessa intensità con cui lei bruciava nella sua.

Quando infine si infilò sotto le coperte, si ritrovò a fissare il soffitto, consapevole del corpo addormentato accanto a lui, e della distanza che in quel momento sembrava insormontabile. Le labbra di lei continuavano a tormentargli il pensiero, quel sorriso inesplorato, quei gesti che aveva imparato a decifrare. Ogni dettaglio di quella serata gli si ripresentava, come un ritornello impossibile da scacciare.

Chiuse gli occhi, con l’intenzione di lasciarsi cadere nel sonno. Ma più cercava di spegnere quel pensiero, più si accorgeva di volerlo tenere vivo. Di lei gli rimaneva la certezza silenziosa di essere stato visto, davvero visto, in un modo che andava oltre le parole, che sfiorava l’anima.

"Domani," pensò, "domani tutto tornerà al suo posto." Ma una voce dentro di lui sapeva che quell'attrazione era come un filo invisibile, un legame sottile che li avrebbe portati a cercarsi, che si era già avvolto attorno ai loro cuori, stringendoli in un nodo impossibile da sciogliere.

La mattina dopo, lei si alzò con gli occhi pesanti e il corpo ancora avvolto da un languore sottile. Aveva dormito poche ore, tormentata da pensieri che l’avevano seguita come ombre. Ora, seduta alla scrivania del suo ufficio, tentava di concentrarsi sui documenti, sulle scadenze, sulle email che continuavano a riempire la sua casella di posta. Ma ogni volta che cercava di leggere una frase, ogni volta che tentava di concentrarsi su una parola, il suo volto le tornava alla mente, inaspettato e vivido come la sera precedente.

 

Era come se il suo sguardo fosse rimasto inciso dentro di lei, una fiamma silenziosa che le bruciava addosso, difficile da ignorare. Aveva provato a distrarsi, a dedicarsi ai compiti quotidiani, ma ogni cosa sembrava riportarla a lui, a quel desiderio silenzioso che aveva cercato di soffocare, ma che non faceva che crescere, come una nota persistente che risuonava nella sua mente.

 

Le sue dita scorrevano sulla tastiera, mentre il suo pensiero vagava verso il ricordo della loro serata. Avrebbe voluto dimenticare quel tocco, quel breve sfiorarsi, ma non ci riusciva. Ogni dettaglio era nitido come un film visto troppe volte: la sua voce bassa, le sue mani che si muovevano con sicurezza, il suo sorriso riservato, che solo lei aveva imparato a decifrare. E quella scintilla nei suoi occhi, una promessa inespressa che continuava a tormentarla, anche ora, sotto la luce fredda del neon che illuminava la sua scrivania.

 

Un collega le rivolse la parola, e lei rispose automaticamente, senza neanche accorgersi delle frasi che pronunciava. Aveva l’impressione di trovarsi fuori dal suo corpo, come se quella mattina non le appartenesse davvero, come se stesse vivendo in un sogno da cui non riusciva a uscire. Ogni suono, ogni parola sembrava filtrato da una distanza invisibile, ovattata, mentre dentro di lei risuonava il battito incessante del suo pensiero.

 

Sapeva di non poter continuare così, sapeva che avrebbe dovuto riportare l’ordine nella propria mente, eppure era come se una parte di lei non volesse lasciarlo andare. Chiuse gli occhi per un istante, il respiro corto, e lo rivide lì, davanti a lei, quella sera, con lo sguardo che le attraversava l’anima, la bocca che le accennava un sorriso lieve, carico di una comprensione che andava oltre le parole.

 

Forse, pensò, era proprio questo a tormentarla più di tutto: quel sentirsi vista, quel percepirsi letta come nessuno aveva mai fatto prima. Lui aveva squarciato le sue difese con una semplicità disarmante, le aveva mostrato un desiderio nascosto che lei non osava confessare nemmeno a se stessa. E ora che lo aveva scoperto, come avrebbe potuto dimenticarlo?

 

Le ore continuavano a scorrere, ma ogni cosa era come un eco distante. Era assente, prigioniera di un pensiero che non voleva abbandonarla, di una fiamma che si era accesa nel silenzio, e che ora la illuminava inesorabile, rendendo tutto il resto solo un contorno sbiadito.

La mattina seguente, lui arrivò in ufficio con una strana inquietudine addosso, come se qualcosa gli impedisse di sentirsi completamente presente. Appoggiò la giacca sulla sedia, accese il computer, e si sforzò di immergersi nelle attività quotidiane: rispondere alle email, rivedere i rapporti, aggiornare le scadenze. Ma ogni cosa gli sembrava ovattata, come se un velo si fosse calato tra lui e il mondo, impedendogli di concentrarsi davvero.

Aveva passato la notte in un dormiveglia tormentato, tra sogni che si dissolvevano al risveglio e ricordi sempre più insistenti di lei. Gli sembrava di percepirne ancora il profumo, il calore del suo sguardo che si posava su di lui, lo stesso sguardo che non riusciva a togliersi dalla mente. Per tutto il tempo, anche lì, seduto alla scrivania, aveva la sensazione che qualcosa di lei fosse rimasto con lui, impresso nelle pieghe dei pensieri come una macchia che non si poteva lavare via.

Un collega lo chiamò per un rapido confronto, e lui si ritrovò a rispondere in modo meccanico, senza ascoltare davvero le domande. Cercava di concentrarsi, ma ogni volta che smetteva di parlare, la sua mente tornava subito a lei, come se quel pensiero avesse scavato un solco profondo e irrinunciabile. Ripensava ai momenti della sera prima, al modo in cui le loro mani si erano sfiorate, quasi per caso, e a quel contatto leggero che sembrava aver acceso una scintilla, una corrente impossibile da spegnere.

Provò a scacciarla dalla mente, a reprimere quel desiderio che si era radicato in lui con la forza di una pianta selvaggia. Sapeva quanto fosse pericoloso lasciarsi trascinare, conosceva i rischi, le conseguenze, eppure c’era qualcosa di inesorabile, di irriducibile, in quell’attrazione che continuava a spingerlo verso di lei. Ogni volta che chiudeva gli occhi, poteva rivederla come l’aveva vista la sera prima: circondata dalla sua famiglia, dal suo mondo, eppure legata a lui da un filo invisibile, un’intesa muta che nessun altro poteva intuire.

Osservò il telefono sulla scrivania, le dita che indugiavano incerte sulla tastiera, come se fossero in attesa di un impulso improvviso. "Non devo," si disse, e abbassò la mano, cercando di scacciare l’idea di inviarle anche solo un saluto, un messaggio che le dicesse che lei era ancora lì, presente nei suoi pensieri, come un’ombra ineludibile. Eppure, più si sforzava di concentrarsi, più il pensiero di lei lo invadeva, con la prepotenza di qualcosa che non si può arginare.

La mattinata avanzava, e lui sapeva che non sarebbe riuscito a liberarsi di quella sensazione, di quell’attrazione che gli si era insinuata sotto pelle. Si accorse di ripensare ai piccoli dettagli: il suono della sua risata, il modo in cui abbassava lo sguardo ogni volta che si trovavano vicini, come se anche lei avesse avvertito la stessa tensione, lo stesso desiderio celato da un’apparenza di normalità.

Quando finalmente si prese una pausa, uscì all’aria aperta, sperando che la brezza del mattino potesse schiarirgli la mente. Ma anche lì, nel fresco del giorno, il pensiero di lei lo avvolgeva, come un’eco che non poteva soffocare. Si ritrovò a fissare il cielo, a chiedersi come avrebbe fatto a continuare a vivere come se nulla fosse cambiato, ora che lei aveva risvegliato una parte di sé che pensava addormentata, una parte che non sarebbe riuscito a ignorare.

La mattina seguente, lui arrivò in ufficio con una strana inquietudine addosso, come se qualcosa gli impedisse di sentirsi completamente presente. Appoggiò la giacca sulla sedia, accese il computer, e si sforzò di immergersi nelle attività quotidiane: rispondere alle email, rivedere i rapporti, aggiornare le scadenze. Ma ogni cosa gli sembrava ovattata, come se un velo si fosse calato tra lui e il mondo, impedendogli di concentrarsi davvero.

Aveva passato la notte in un dormiveglia tormentato, tra sogni che si dissolvevano al risveglio e ricordi sempre più insistenti di lei. Gli sembrava di percepirne ancora il profumo, il calore del suo sguardo che si posava su di lui, lo stesso sguardo che non riusciva a togliersi dalla mente. Per tutto il tempo, anche lì, seduto alla scrivania, aveva la sensazione che qualcosa di lei fosse rimasto con lui, impresso nelle pieghe dei pensieri come una macchia che non si poteva lavare via.

Un collega lo chiamò per un rapido confronto, e lui si ritrovò a rispondere in modo meccanico, senza ascoltare davvero le domande. Cercava di concentrarsi, ma ogni volta che smetteva di parlare, la sua mente tornava subito a lei, come se quel pensiero avesse scavato un solco profondo e irrinunciabile. Ripensava ai momenti della sera prima, al modo in cui le loro mani si erano sfiorate, quasi per caso, e a quel contatto leggero che sembrava aver acceso una scintilla, una corrente impossibile da spegnere.

Provò a scacciarla dalla mente, a reprimere quel desiderio che si era radicato in lui con la forza di una pianta selvaggia. Sapeva quanto fosse pericoloso lasciarsi trascinare, conosceva i rischi, le conseguenze, eppure c’era qualcosa di inesorabile, di irriducibile, in quell’attrazione che continuava a spingerlo verso di lei. Ogni volta che chiudeva gli occhi, poteva rivederla come l’aveva vista la sera prima: circondata dalla sua famiglia, dal suo mondo, eppure legata a lui da un filo invisibile, un’intesa muta che nessun altro poteva intuire.

Osservò il telefono sulla scrivania, le dita che indugiavano incerte sulla tastiera, come se fossero in attesa di un impulso improvviso. "Non devo," si disse, e abbassò la mano, cercando di scacciare l’idea di inviarle anche solo un saluto, un messaggio che le dicesse che lei era ancora lì, presente nei suoi pensieri, come un’ombra ineludibile. Eppure, più si sforzava di concentrarsi, più il pensiero di lei lo invadeva, con la prepotenza di qualcosa che non si può arginare.

La mattinata avanzava, e lui sapeva che non sarebbe riuscito a liberarsi di quella sensazione, di quell’attrazione che gli si era insinuata sotto pelle. Si accorse di ripensare ai piccoli dettagli: il suono della sua risata, il modo in cui abbassava lo sguardo ogni volta che si trovavano vicini, come se anche lei avesse avvertito la stessa tensione, lo stesso desiderio celato da un’apparenza di normalità.

Quando finalmente si prese una pausa, uscì all’aria aperta, sperando che la brezza del mattino potesse schiarirgli la mente. Ma anche lì, nel fresco del giorno, il pensiero di lei lo avvolgeva, come un’eco che non poteva soffocare. Si ritrovò a fissare il cielo, a chiedersi come avrebbe fatto a continuare a vivere come se nulla fosse cambiato, ora che lei aveva risvegliato una parte di sé che pensava addormentata, una parte che non sarebbe riuscito a ignorare.

 

 

 

 

 

 

 

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