"Il Tempo degli Inviti Perduti"
"Il Tempo degli Inviti Perduti"
Gli incontri, un tempo, erano ricami sottili, tessuti di mani esperte, invisibili, che nel silenzio di una stanza si prodigavano affinché accadesse la magia della vicinanza. In un’epoca che oggi sembra distante come un paese straniero, l’invito era una prassi – una chiamata che ti giungeva inattesa, pronunciata da qualcuno che sapeva di te più di quanto tu stesso fossi disposto a rivelare. Era un prete, spesso, o qualcuno che lo impersonava, che guardandoti con occhi gentili ti chiedeva di unirti, di sederti, di appartenere, anche solo per un’ora, a qualcosa di condiviso.
Gli incontri settimanali diventavano allora come piccole isole, e lì, attorno a un tavolo, si sfumavano i confini personali. Non eri tu a cercare di creare il legame, eri accolto, avvolto da una rete già tesa, pronta a reggere il tuo peso e quello degli altri. Ognuno era un potenziale, una promessa di parola, un fiore non ancora sbocciato nella serra di quel gruppo appena nato. Bastava un invito, e si entrava in un cerchio di conversazioni sospese, di sguardi che diventavano abitudini, di sorrisi che si riconoscevano al secondo incontro. Così, senza accorgersene, si diventava parte di un gruppo: un’entità fatta di frammenti umani, di risate sottili e di silenzi compresi.
Oggi non c’è nessuno che bussa alla porta con quella stessa urgenza silenziosa, nessuno che si incarichi di farti entrare in un gruppo pensato, immaginato per accoglierti. Oggi, il tempo ha sfilacciato quel tessuto denso, quella cura con cui si selezionavano le persone, non solo per chi erano, ma per chi sarebbero potute diventare assieme. Non c’è più quel prete, o quell’amico invisibile, che con garbo ti prendeva per mano e ti diceva “vieni, c’è un posto anche per te”.
Così restano i ricordi di quei cerchi antichi, di quelle riunioni semplici e sacre, dove qualcuno aveva titoli – e anche cuore – per riunire le persone, per farle trovare e ritrovarsi. Ora tutto è affidato al caso, e il caso è distratto.
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