"Inutile Pensare a Lui"

 


"Inutile Pensare a Lui"

C’era un parcheggio. Lei, Francesca, con le mani ancora fredde del mattino e un occhiale scuro che le tagliava il volto in due, come una verità a metà. E c’era lui, sconosciuto eppure già familiare, uno che ti guarda e sembra leggerti le ultime tre righe della vita. Quello che non sai è che sono righe che hai scritto tu, senza accorgertene.

Entrambi diretti allo stesso convegno, la sala carica di aria condizionata e troppe parole, ma l’unico spazio in cui si ritrovavano, davvero, era quel filo sottile di sguardi che andavano e venivano, come una marea timida. Quando lui entrò, lei sentì di averlo già aspettato per anni. Ecco, questo era il suo talento più segreto: trasformare minuti in attese lunghissime.

Al parcheggio, alla fine, si scambiarono uno sguardo che era insieme una promessa e una domanda mai detta. Da quel giorno, la vita di Francesca divenne un ritmo lento, scandito da incontri mancati e carezze a metà. Lo rincontrò due settimane dopo, un altro convegno, un’altra sala. Lui le posò una mano sulla spalla: un gesto che sapeva di passato e futuro insieme, ma nulla di presente.

E così continuarono, come due viaggiatori su binari paralleli, che ogni tanto si avvicinano ma non si toccano mai. Una sera, accadde: si scambiarono i contatti. Ora c’era un filo invisibile tra loro, ma era lei a tenderlo ogni volta, come se avesse paura che, lasciandolo, lui potesse sparire nel nulla.

Le sue mani, però, ogni tanto raccontavano altro. Una carezza sul viso, un tocco più lungo del necessario. Sempre in mezzo alla gente, mai davvero soli. Erano gesti così leggeri che sembravano non avere peso, eppure Francesca li portava con sé ovunque. Erano briciole di una storia che non riusciva a farsi pane.

Si scrivevano, certo, ma era sempre lei a scrivere. E lui rispondeva, sì, ma solo per invitarla a un altro convegno, mai per un caffè, una passeggiata, un momento che fosse davvero loro. Era come se tutto di lui le dicesse "Aspetta", e lei, testarda, aspettava.

Ma aspettare, pensava Francesca, è come tenere il fiato sott’acqua: non si può farlo per sempre. E forse quello che la tormentava non era il suo silenzio, ma il fatto che, sotto sotto, lei conosceva già la risposta. Era lì, in quegli inviti formali, in quelle mani che accarezzavano ma non stringevano, in quegli occhi che guardavano ma non rimanevano.

Una notte, quando il telefono restò muto più a lungo del solito, si rese conto di una cosa: non era mai stata innamorata di lui, ma dell’idea di lui. Di quel modo che aveva di farla sentire speciale senza mai dirlo, di quei gesti che sembravano promesse e invece erano solo pause.

E allora decise di fare quello che, fino a quel momento, non aveva mai osato: smettere di aspettare. Perché se c’è una cosa che aveva imparato, è che l’amore vero non ti fa aspettare. Ti raggiunge, senza chiedere permesso.

E così lo lasciò andare. E in quel vuoto nuovo e luminoso, finalmente, si ritrovò.

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