"La Melodia Sottile dell'Incontro"

 


"La Melodia Sottile dell'Incontro"

C'era un uomo, diceva di conoscere i propri desideri. Lo diceva con la sicurezza di chi, alla vita, ha chiesto poco ma con precisione, come un viaggiatore che non cerca terre esotiche ma dettagli nascosti nei luoghi già attraversati. Eppure, si scopre a compiere gesti insensati – follie, direbbero gli altri – solo per assaporare la presenza di una donna per mezz'ora. Non perché la sua vita dipendesse da lei, ma perché la sua anima aveva trovato, in quell'incontro, una sinfonia che non conosceva di poter desiderare. E, in fondo, chi vuole sopravvivere quando può vivere?

Lei, intricata come un enigma, gli aveva attirato lo sguardo e, senza rendersene conto, lo aveva avvolto in un sottile labirinto. Lui lo sapeva – oh, se lo sapeva – che ciò che lo legava a lei non era il facile fluire di una conversazione né la semplice attrazione dei corpi. No, era qualcosa di più profondo, di più raro. Era la vibrazione di quelle affinità inspiegabili che Goethe chiamava elettive e che lui sentiva più come una forza magnetica, invisibile e inevitabile.

Le affinità, pensava, sono come melodie. Non sempre le riconosci subito, a volte ti sfuggono, come una nota che resta sospesa nell'aria prima di essere colta dall'orecchio giusto. E poi ci sono momenti in cui la musica non c'è, e quel silenzio – quel disinteresse – è una nota stonata che turba, ma non per questo meno necessaria. Perché anche il disincanto, in fondo, è parte dell'incanto.

Cosa fai, allora, quando la vita ti offre un enigma? Ti fermi a osservare, o rischi il passo? Lui non aveva dubbi: affrontare un viaggio senza innamorarsi profondamente sarebbe stato come non respirare. L'amore, pensava, è l'ultimo tentativo di comprendere il caos, e vale sempre la pena di tentarlo. Non per raggiungere una meta, ma per perdersi nella strada.

"Come mi descriveresti?" le aveva chiesto un giorno. E non voleva una risposta logica, non cercava definizioni. Desiderava che lei si abbandonasse, che ascoltasse non la mente ma il cuore. Perché, in fondo, era questo che lei gli insegnava ogni volta che i loro sguardi si incrociavano: a smettere di cercare risposte e iniziare a vivere le domande.

Nel silenzio della solitudine – quella vera, che non è mancanza ma riscoperta – lui trovava frammenti di lei. Non la sua presenza, ma l’eco di ciò che lei gli aveva rivelato: la sua stessa capacità di sentirsi vivo, pulsante, immerso nel miracolo del momento. Ed era questa, forse, la più grande lezione dell’amore: non la promessa di un "per sempre", ma la consapevolezza che ogni attimo condiviso, in fondo, è già un’eternità.

Così lui continuava a vivere, tra viaggi e enigmi, tra il desiderio di lei e la riscoperta di sé. Non c’era certezza, ma c’era quella melodia sottile che lo guidava, passo dopo passo, attraverso il fragile equilibrio dell’amore e della solitudine. E, dopotutto, che cos’è la vita se non questo?

Antonio Bruno

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