"L’Impossibile"
"L’Impossibile"
Era l’alba,
e in quell’ora di luce incerta, sembrava che il mondo stesso si fosse fermato a
guardarla. Stava lì, e lui l'osservava come se fosse la prima volta – come se
quel viso, ormai inciso in qualche anfratto della sua anima, fosse un segreto
rivelato solo in quel preciso istante. Era così: la guardava e la riconosceva
in ogni dettaglio, eppure, non riusciva mai a sentirla del tutto. Lei era lì,
ma non era per lui. Era il suo sogno e il suo tormento. La chiamava
“l’impossibile”.
Non che
fosse sfuggente, né che non fosse vera. Lo era, invece: concreta, vibrante,
piena di vita. Solo che, in qualche modo, gli era destinata soltanto a metà.
Tante volte aveva immaginato come sarebbe stato stringerla, possederla con
l’arroganza tenera di chi sa che l’amore è anche morsi e parole sospirate
nell’oscurità. Tante volte aveva pensato di baciarla fino a perdere il fiato,
di percorrere ogni centimetro della sua pelle, di farla sua, anima e corpo. E
lei, come in un gioco di destini già scritti, lo avrebbe voluto. Anche.
Anche –
quante volte glielo aveva detto, quella parola così semplice, eppure così
dannatamente pesante. Gli aveva risposto sempre così, come se il loro
desiderio, la loro sete, non fosse mai abbastanza per saziare il bisogno,
quell’urgenza antica che pareva radicata nei secoli. "Anche" – una
parola come un sigillo su una porta che non si poteva aprire del tutto, una
promessa di qualcosa che c’era, sì, ma che non sarebbe stato mai fino in fondo.
“Perché mi
dici sempre anche?” le aveva chiesto una volta, sfiorando le sue dita con una
delicatezza che era quasi paura. Lei gli aveva sorriso – quel sorriso che era
quieto e sconvolgente come il mare dopo una tempesta – e aveva sospirato.
“Perché noi due, noi siamo l’impossibile. Noi siamo l’ombra di un sogno che
sfugge, ma non si dissolve mai.”
Lo guardava
e c’era la resa, nei suoi occhi, la pace di chi sa che certe vite sono
destinate a non incontrarsi mai davvero, a sfiorarsi e basta. “Io e te non ci
siamo mai sfiorati, non per davvero,” aveva detto una volta, quasi sottovoce.
“Abbiamo attraversato le nostre vite come due linee parallele, ognuno
inchiodato alla propria realtà. Ma nell’istante in cui ci siamo guardati, anche
solo per un attimo, era come se esistesse solo quel momento, come se tutto il
resto svanisse. E non importa quanto breve sia stato: è stato tutto.”
Era una
storia senza inizio, senza fine. Era un amore sospeso, eppure reale, più reale
di qualsiasi altra cosa. Era l’idea, l’essenza, la poesia di un amore che
andava oltre l’amore stesso. Nessun patto, nessuna promessa, eppure l’eternità.
Era qualcosa che viveva nei silenzi e nelle assenze, in quelle parole che non
si erano detti, e in quelle che avrebbero voluto dirsi.
Passavano
gli anni, e non smetteva di pensarla. Anche quando l’aveva persa – e Dio solo
sa quanto aveva cercato di dimenticarla – lei restava lì, in un angolo della
sua mente, come il battito nascosto di una canzone che non smette mai di
suonare. Aveva provato a colmare il vuoto con altri volti, altre storie. Ma
niente. Lei era e sarebbe rimasta sempre "l’impossibile", il ricordo
di ciò che avrebbe potuto essere.
Alla fine,
non era forse questo l’amore? Non il possesso, non l’illusione di una vita a
due, ma la consapevolezza di un legame che sfida il tempo, che resta inciso nel
cuore, come una ferita dolce, come un’eco lontana, come un sogno che si
dissolve al primo raggio di sole, eppure non muore mai.
“Non ti
dimenticherò mai,” le aveva detto, l’ultima volta che l’aveva vista. Lei lo
aveva guardato, con quel sorriso che conteneva tutti i “forse” del mondo, e
aveva mormorato: “Io sarò sempre lì, anche quando tu non ci penserai più.”
E così fu.
Antonio
Bruno
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