"L'eco di un amore maleducato"
"L'eco di un amore maleducato"
Si conobbero in un giorno come tanti, in una stanza che non ricordava nessuno, tranne forse il destino. Lui, che portava un'aria trasandata e una bellezza sbiadita dal tempo, sorrideva come se sapesse cose che lei non avrebbe mai osato chiedere. Lei, con l'anima spalancata e una risata un po' storta, era come un lampo d’estate su un mare al crepuscolo, capace di abbagliare anche il più cieco dei marinai. Non si scambiarono subito parole, ma si guardavano come due feriti che riconoscono nel dolore altrui il riflesso del proprio. Ecco, forse fu proprio quello a condannarli.
Fu lei a rompere il silenzio, con una domanda che sembrava detta per caso, quasi una distrazione, come si parla del tempo. "Sei innamorato?" disse, e nel dirlo abbassò lo sguardo, come se avesse già intuito che quella non era una domanda ma un vortice.
"No," rispose lui, "questa ragazza mi turba, mi seduce, m'inquieta, mi attira e mi spaventa. Diffido di lei come d'una trappola e ho voglia di lei come del gelato quando si ha sete."
Lei rise, una risata sottile come un filo di luce, e lo guardò, come chi accetta di giocare con una bomba a orologeria sapendo che scoppierà, ma senza voler pensarci troppo. "Sai, credo che tu sia la persona sbagliata," disse lei piano, "arrivata nel momento sbagliato, incontrata nel posto sbagliato."
"Le probabilità che mi innamori di te sono altissime," rispose lui, quasi senza rendersi conto che era la verità più brutale che avesse mai confessato.
Da quel momento, cominciarono a cercarsi come due cani randagi sotto un temporale, addosso l'odore dell'incoscienza e l'inquietudine di chi sa che, quando l’amore arriva, deve fare rumore, lasciare porte aperte, rovistare nei cassetti e fare a pezzi le stanze ordinate della loro vita.
Si incontravano in posti improbabili, nascosti tra ombre e parole non dette. Lei, con una smorfia dolce e una nostalgia sconosciuta, gli confidava frammenti di sogni mai realizzati, piccoli graffi sul cuore che nascondeva come reliquie preziose. Lui l'ascoltava con occhi famelici, come se quelle parole fossero carezze che lei gli disegnava addosso, una storia che non voleva più finire. Ogni parola, ogni sguardo era come il passo incerto di chi danza sull'orlo di un precipizio.
“Ti penso, ti penso spesso, penso a quanto in così poco tempo sei riuscita a stravolgermi la vita,” le confessò una sera, con un tono quasi infantile, come se avesse paura di essere frainteso.
Lei rise ancora, e il suono sembrava scolpito nell'aria come un ricordo prezioso, di quelli che restano incastrati nei pensieri. “Sai,” gli disse, “se tu vedessi come mi guardi, sapresti perché ti amo.”
Non osarono parlare di futuro, non lo nominarono mai, come chi sa che è più sicuro abbracciarsi nel buio per paura di rompere l'incantesimo. Si sfioravano come chi sa di aver trovato una verità rara e proibita, ma nel farlo sentivano l’ombra della fine, nascosta dietro ogni bacio. L'amore li prese come un’onda rabbiosa, e a ogni incontro sembrava che si stessero abbandonando in un naufragio, sempre a un passo da quello che non avevano il coraggio di confessarsi.
E lui aveva ragione. L'amore, quello vero, è maleducato, spinge le porte e fa un rumore assordante, lascia in disordine ogni angolo di noi, costringendoci a camminare nudi con l'anima che non riposa. Ma la sua paura era un ombra che li seguiva, la Philofobia, quel timore ancestrale di chi ama con troppa intensità, di chi sa che la caduta sarà dolorosa, devastante.
Alla fine fu lui a scappare. Se ne andò una notte, in silenzio, come chi fugge da una casa in fiamme. Lei lo sapeva, lo aveva sempre saputo. L'amore, quello vero, lascia ferite che non si chiudono mai del tutto, come un segreto inciso sotto pelle. Se ne andò, ma restò comunque, annidato nei ricordi di lei, nei respiri profondi prima di addormentarsi, nelle sue risate senza più l’eco delle sue risposte.
E lei restò lì, con l'anima scompigliata e un amore che non smetteva di fare rumore, come il mare che si frange contro la riva anche quando il mondo intero tace.
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