La Guglia di Raimondello e il Mago di Soleto

 


La Guglia di Raimondello e il Mago di Soleto 

di Antonio Bruno

(Immaginate un palco vuoto, eccetto una replica in cartone di una guglia gotica sullo sfondo. L'attore entra con una toga nera, ma ha sotto un pigiama con stampe di grifoni. Tiene in mano un libro intitolato “Magia per Principianti e Panettieri”. Inizia a parlare con tono solenne.)

Signori e signore, bentornati nel magico, misterioso e assolutamente incomprensibile mondo di Soleto, patria di due cose: la Guglia di Raimondello e un tipo che, a quanto pare, aveva troppe serate libere, Matteo Tafuri.

Matteo Tafuri, detto "il mago di Soleto", un uomo che non riusciva a farsi amici nemmeno al mercatino rionale. Non per il suo carattere, badate bene, ma perché ogni volta che qualcuno gli chiedeva: “Buongiorno Matteo, come va?” lui rispondeva: “Hai mai contemplato il vuoto cosmico che inghiotte il destino umano?” E lì, tutti a scappare.

Ma Matteo non si scoraggiava. Anzi, una sera, durante una tempesta – e dico tempesta, eh, di quelle con i fulmini che sembrano dire: “Questa è la tua occasione per fare qualcosa di ridicolo” – Matteo decide che è ora di passare alla storia. E cosa fa? Invoca il diavolo. Perché? Per costruire una torre. Non una villa, non un panificio. Una torre campanaria. Diceva: “Se non posso essere popolare, almeno sarò… verticale.”


(Pausa teatrale. Finge di leggere dal libro.)
Ora, secondo gli antichi manuali di magia, per convocare i demoni servono tre cose: un cerchio di pietre, un sacrificio, e la convinzione assoluta che la tua idea sia geniale. Matteo aveva tutto tranne il sacrificio. Quindi sacrificò… il suo sonno. Una notte intera a urlare: “VENITE A ME, FORZE DELL’INFERNO! HO UN PROGETTO!”

E sapete cosa? I demoni arrivarono. Ma non erano demoni qualsiasi, erano… demoni muratori. Con tanto di caschetti e planimetrie infernali. Il capo-cantiere, Belzebù, lo ricordo bene – mi è stato detto che aveva un accento barese – disse: “Oh, Matteo, ma quanti piani vuoi ‘sta torre?”

E Matteo: “Tre piani. Voglio qualcosa che dica potere, ma anche non esageriamo.”

Così iniziarono a lavorare. E che squadra, signori! Streghe che mescolavano malta con le scope, demoni che scolpivano figure metà umane e metà “non so cosa sto facendo”, spiriti infernali che supervisionavano i capitelli. Un’opera d’arte. Fino a che… il gallo non cantò.

E qui, panico generale. “Oh no, il sole! Non ci avevano avvisato della scadenza!” E puff, tutti scomparsi nel nulla. Tutti tranne quattro demoni grifoni. Quattro. Mi piace immaginare la scena:


(Si abbassa, imita un grifone pietrificato.)
“Ragazzi, ma voi sentite caldo? No? Oh, aspetta, quello è il sole!”

(Si immobilizza in una posa assurda.)
“Ah, mannaggia… E ora come torno a casa?”

Ed eccoli lì, pietrificati. Per sempre. Ai quattro angoli della Guglia. Oggi li guardi e pensi: “Beh, almeno non hanno dovuto pagare l’affitto.”

(Si rialza, con fare filosofico.)
E sapete qual è la morale di questa storia? Che anche se convochi il diavolo, lavori tutta la notte e hai i migliori muratori dell’inferno… alla fine, il sole arriverà sempre. E pure i galli.

(Pausa, poi sorride.)
Oppure, forse, la morale è: non fidarti mai di un mago in pigiama che costruisce guglie per farsi notare.

(Applausi immaginari. L'attore si inchina, esce di scena.)

Antonio Bruno


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