"Scintille nell'acqua"
"Scintille nell'acqua"
Si conobbero un pomeriggio qualunque, in uno di quei bar in riva al mare che sanno di salsedine e vecchi segreti. Lui le si avvicinò, con la camicia appena aperta sul petto, lo sguardo di chi si porta dietro una guerra già persa, ma con la forza di voler combattere ancora, magari per lei. Forse era la curva dolce del suo sorriso, o il modo in cui teneva il bicchiere tra le dita, come fosse una cosa preziosa, da maneggiare con cura. Eppure, proprio lì, tra il rumore del mare e i riflessi di luce, c’era come una promessa, qualcosa che si celava sotto la superficie e aspettava solo il momento giusto per venire a galla.
Le note di un pianoforte lontano giungevano come onde leggere. Si sedettero l’uno accanto all’altra senza sfiorarsi, ma le parole che si scambiavano sembravano dita che si intrecciavano nell’aria. Era come se lo sapessero da sempre, come se fosse scritto: "Prima o poi capirai che è il nostro destino," le disse lui, quasi in un sussurro. Lei sorrise e gli diede un pizzicotto sul braccio, così, per nascondere l’intensità di quel momento con un gesto sfrontato, infantile. Ma quel gesto li avvicinò ancora di più, un segnale di resa, forse, o di sfida. Come a dirgli: "Prova a raggiungermi, prova a vincere questa battaglia se ci riesci".
Nella notte, camminarono lungo la spiaggia, tenendosi per mano senza stringere troppo, come chi sa che la bellezza di un attimo va vissuta così, senza chiedere nulla, senza il peso del domani. La sabbia fredda sotto i piedi e la brezza salata sulle labbra erano tutto ciò che esisteva, ed era sufficiente. Lei si fermò, chiuse gli occhi e lasciò che l’acqua le bagnasse il volto. Lui la guardava, con quella dolcezza che fa male, quella che si insinua sotto la pelle e rende ogni respiro un po’ più corto.
"E se fossi in te, amore," le disse con una strana malinconia, "amerei me. Non mi combatterei così, senza tregua". Lei non rispose, si limitò a sorridere, quel sorriso che lui avrebbe portato nel cuore come un coltello affondato piano. Sapeva che in quella donna c’era una ribellione che lui non avrebbe mai addomesticato, e forse era proprio quello il segreto che lo teneva incatenato a lei, senza scampo.
Passavano i giorni, e in quelle notti insonni lei gli raccontava delle piccole follie che conservava in una “casetta delle pose”, come la chiamava. I loro giorni veri, quelli di piccoli scherzi e risate, si trasformavano nei ricordi che diventavano radici, incastrandosi nelle pieghe di quel presente così labile, così lontano dalla paura di dover durare per sempre.
"Quand’è che finirai di voler bene ai pizzicotti dati a tradimento?" le domandò una volta lui, con un sorriso appena accennato. Ma lei lo guardò con aria di sfida, come se non potesse mai abbandonare quella sua natura selvaggia e inconsistente, come se per lei ogni legame fosse una scintilla pronta a diventare cenere alla minima distrazione.
"Non riesci a togliere gli ormeggi, vero?" disse lui, con un filo di tristezza che si mescolava al vento della sera. Eppure, anche quel dolore era parte del mistero, di quell’amore che non voleva prigioni né promesse. Era un gioco senza regole, una danza dove nessuno dei due comandava davvero, e questo li teneva in vita, come una storia insensata che però, ogni tanto, regala momenti così belli da togliere il fiato.
E poi, in un mattino incerto, con il sole che si svegliava pigro, lei se ne andò. Non ci furono addii, né parole lasciate a metà. Solo il silenzio, come acqua che si ritira lasciando le sue impronte sulla sabbia. Lui rimase lì, immobile, a guardare il punto dove lei si era allontanata, come a cercare di afferrare quell’ultimo frammento di lei prima che il mare lo cancellasse.
Era come se quella storia, così breve e così densa, non avesse mai chiesto niente, né promesse né giuramenti. Aveva chiesto solo di esistere, come un momento perfetto in mezzo a una vita qualsiasi, una vita che adesso, senza di lei, sembrava solo un po’ più insensata. E in fondo, andava bene così.
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