"La riva e il mare"


 "La riva e il mare"

Era un pomeriggio di autunno, il tipo di pomeriggio in cui la luce sembra sciogliersi sugli alberi, dorata e lenta come miele tiepido. Lei era lì, seduta su una panchina al porto, con il mare che si stiracchiava pigro davanti a lei. Non lo sapeva ancora, ma quell’attimo di attesa era la promessa di qualcosa che non avrebbe mai dimenticato. Lui arrivò come si arriva sempre: un po' per caso, un po' per destino. Si sedette accanto a lei, non troppo vicino, come si fa quando non si vuole disturbare.
Non si dissero niente, almeno all’inizio. Lui aveva un libro in mano ma non leggeva. Lei guardava le barche all’orizzonte, immobile come un quadro. Erano entrambi lì, nella stessa aria, eppure separati da un filo sottile che sembrava non dover mai spezzarsi.
Poi accadde qualcosa. Forse fu il vento che si alzò, o una barca che inclinò il suo profilo verso il sole. I loro sguardi si incrociarono e fu come se il mondo avesse trattenuto il respiro. Non era il classico fulmine a ciel sereno, era più una brezza che ti accarezza il viso e ti lascia addosso la sensazione che qualcosa, da quel momento in poi, sarà diverso.
“Scrivere è come baciare, solo senza labbra,” disse lui, improvvisamente, come se quelle parole fossero lì da sempre, in attesa di essere pronunciate. Lei sorrise. Non era un sorriso compiacente, era il tipo di sorriso che si fa quando qualcuno dice qualcosa di sorprendentemente vero. “E allora non smettere mai di scrivere,” rispose, quasi sottovoce. Lui non replicò, ma abbassò lo sguardo, come per fissare quell’istante su una pagina invisibile.
Passarono giorni, settimane, forse mesi. L’autunno si trasformò in inverno, poi in primavera. Loro continuarono a vedersi, a parlarsi, a non dirsi tutto ma a capirsi comunque. Lui era un uomo di parole, lei una donna di silenzi. Eppure, si incontravano sempre a metà strada, in un territorio selvaggio che nessuno dei due avrebbe saputo spiegare. Era lì che si ritrovavano, ogni volta, come naufraghi su una riva comune.
C’era una delicatezza, tra di loro, che non era fatta di gesti ma di assenze. Lui non cercava di trattenerla, lei non aveva bisogno di essere trattenuta. “Io non voglio essere rete,” le aveva detto una volta, “preferisco essere riva. Il luogo dove vale sempre la pena tornare.” E lei aveva pensato che forse, per la prima volta nella sua vita, qualcuno l’aveva capita davvero.
Un giorno, però, qualcosa cambiò. Forse fu un nuovo vento, o una barca che prese una direzione diversa. Lui si accorse che i suoi sguardi avevano iniziato a cercare altrove, come se qualcosa dentro di lui stesse già preparando l’addio. Lei lo sentì, perché le donne lo sentono sempre. Ma non disse nulla. Continuò a sorridere, a guardare le barche, a essere la riva che era sempre stata.
Quando lui le parlò, finalmente, lo fece con la voce di chi sa di dover rompere qualcosa di bello. “Non posso imbottigliare il mare,” disse. “Lo so,” rispose lei, “ma puoi sempre amarlo.” Non piansero, non si abbracciarono. Lui si alzò, fece un passo indietro, poi un altro. Lei rimase lì, seduta sulla panchina, con il mare davanti a sé.
L’amore, pensò lei, non è mai un lavoro da doganieri. È fatto di cedimenti, accaloramenti, vicinanze e sgomenti. Ed era vero: il vero amore non restringe, allarga. E lui, anche nel lasciarla, aveva allargato la sua vita. Forse non si sarebbero mai più rivisti, forse sì. Ma sapevano entrambi che non importava. L’amore che avevano condiviso non sarebbe mai finito del tutto.
Era, e sarebbe sempre stato, come il mare: impossibile da trattenere, eppure eterno.

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