"Dalle Piazze alla Competizione: La Sfida della Cittadinanza Attiva nella Cultura Patriarcale"

 


Ho letto nella bacheca di Francesco Campobasso la frase di Guglielmo Minervini, "I nuovi laboratori del futuro non saranno i vecchi studi professionali, ma le antiche piazze, moderne agorà della partecipazione collettiva" , racchiude una visione di cittadinanza attiva ed inclusiva, in cui il cambiamento sociale e politico non avviene più nei luoghi elitari e chiusi come gli studi professionali, ma negli spazi aperti, pubblici, dove le persone si incontrano, discutono, e co-creano il futuro. Minervini immagina una società in cui l'agorà, simbolo della democrazia diretta ateniese, torna a essere il luogo cardine della vita pubblica, capace di coinvolgere ogni cittadino in un processo decisionale condiviso.

Tuttavia, questa visione non è ancora divenuta il nostro modo di vivere quotidiano. E il motivo risiede profondamente nella nostra cultura che è praticata sia dai clericali e liberali che dalle persone di destra e sinistra, ancora ancorata a modelli patriarcali e competitivi che scoraggiano la partecipazione collettiva e promuovono invece la separazione, la gerarchia e il controllo centralizzato del potere. Nella nostra società, le dinamiche che valorizzano il successo individuale e la competizione prevalgono sul senso di comunità e solidarietà. Questa mentalità patriarcale vede il potere come qualcosa da detenere e proteggere, e non da condividere o distribuire tra tutti. Il confronto aperto e partecipativo viene percepito come una minaccia, perché minerebbe le fondamenta stesse di un sistema costruito su disuguaglianze strutturali.

Le "antiche piazze" proposte da Minervini simboleggiano una partecipazione orizzontale e inclusiva, dove ogni individuo ha voce in capitolo, a prescindere dal suo status sociale o dal suo ruolo professionale. Ma per molti versi, la nostra cultura della competizione non permette che tali spazi fioriscano. La piazza, come spazio di dialogo collettivo, è stata sostituita dalle "bolle" individualistiche create dai social media, dove le opinioni si polarizzano invece di convergere in dibattiti costruttivi. Il patriarcato clericale, liberale, di destra e di sinistra tende a ridurre al minimo l'inclusione, marginalizzando le minoranze, le donne, i giovani, e altre voci meno rappresentate, perpetuando la dinamica di pochi che decidono per i molti.

In questo contesto, la sfida più grande è trasformare la mentalità culturale che sostiene la gerarchia e la competizione come forme di progresso e potere. Questo tipo di trasformazione richiede un cambiamento sistemico, che abbracci una nuova idea di cittadinanza attiva: un cittadino non più solo spettatore passivo, ma attore principale del cambiamento collettivo. Invece di vedere la piazza come uno spazio di scontro o di esibizione, dobbiamo ripensarla come il luogo naturale della collaborazione, della creatività condivisa e dell'ascolto reciproco.

Il fallimento nel realizzare la visione di Minervini fino ad oggi dimostra quanto sia radicato il modello patriarcale competitivo nella nostra cultura. Solo una società che supera questa mentalità, aprendosi alla cooperazione e alla partecipazione democratica dal basso, può davvero realizzare il sogno di moderne agorà dove il futuro si costruisce collettivamente.

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