"I Naviganti del Muretto e l'Odissea di Ogni Giorno"

 


Tanti anni fa, in una galassia non così lontana, c'era un gruppo di amici. Il muretto delle scuole elementari davanti alla chiesa era il nostro pianeta, e lì ci ritrovavamo, a volte solo con i nostri silenzi, altre con l'urgenza di dire il mondo, come se fosse l'ultima sera. Poi, quando il sole si spegneva lento dietro il campanile, ci muovevamo verso la piazza, come satelliti che gravitano attorno a una certezza: il Palazzo Ducale. Lì, il “Centro di lettura” diventava la nostra casa delle stelle.

Tra i banchi di formica verde, si materializzavano sogni, incantati da quelle pagine dell'enciclopedia “Conoscere” che sembravano conoscere davvero ogni piega del cielo e dell'anima. Le ragazze, con i loro libri di “ricerche scolastiche”, erano misteri che non avremmo mai del tutto risolto. E noi, come piccoli esploratori timidi, rubavamo i loro sguardi, spiavamo i loro sorrisi. Le parole non bastavano, e allora parlavano gli occhi, veloci come meteore che attraversano un cielo di primavera.

C'era un professore, di quelli che la vita se l'era portata addosso come un peso, con storie di campi di concentrazione che ci raccontava senza mai davvero dircele. Lui sapeva sedare le nostre tempeste interiori, ci dava una pacca sulla testa, ma era più un abbraccio camuffato, perché sapeva che la guerra più grande era quella dentro di noi.

Poi, il richiamo: l'orologio. Mio padre, che guardava le lancette come fossero leggi divine, sapevo che alle otto dovevo essere a casa. Altrimenti, tempesta in arrivo. Ma la domenica c'era l'Odissea in televisione, e allora mi chiedevo se Ulisse fosse davvero così diverso da noi. Anche noi vagavamo, forse non tra le isole, ma tra i pensieri, tra le nostre paure e speranze.

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