Intervista al Dott. Antonio Bruno: "Il disagio mentale è una sfida sociale e collettiva"

 

Intervista al Dott. Antonio Bruno: "Il disagio mentale è una sfida sociale e collettiva"


Giornalista: Dott. Bruno, i dati che emergono dagli studi dell’Ipsos Health Service evidenziano un aumento preoccupante del malessere mentale a livello globale. Qual è la sua lettura di questo fenomeno?

Dott. Antonio Bruno: I numeri parlano chiaro: il disagio mentale è in forte crescita, sia tra le donne che tra gli uomini. Se nel 2018 il 31% delle donne e il 24% degli uomini segnalavano problemi di salute mentale, oggi queste percentuali sono salite rispettivamente al 51% e al 40%. L’aspetto più allarmante riguarda la Generazione Z (*), dove oltre la metà delle giovani donne (55%) ritiene che la salute mentale sia uno dei problemi principali, mentre la stessa opinione è condivisa dal 37% dei giovani uomini. Ciò dimostra che non si tratta di una questione isolata o individuale, ma di un fenomeno sociale profondo e diffuso.

Giornalista: Quali sono, secondo lei, le cause principali di questo crescente disagio mentale?

Dott. Antonio Bruno: Le cause sono molteplici e complesse. Viviamo in un’epoca di enormi pressioni sociali, economiche e ambientali. L’accelerazione dei ritmi di vita, l’iperconnettività e la continua ricerca del successo generano livelli elevati di stress cronico. A questo si aggiungono l’incertezza economica e lavorativa, la precarietà e la paura di perdere il proprio posto di lavoro, che sono fonti di ansia costante. La linea tra vita privata e professionale si è ormai assottigliata, rendendo difficile per molte persone trovare un equilibrio e recuperare le energie. Inoltre, le disuguaglianze socioeconomiche aggravano ulteriormente il quadro.

Giornalista: Quindi possiamo dire che il problema del disagio mentale non è solo sanitario, ma anche profondamente sociale?

Dott. Antonio Bruno: Esattamente. Il disagio mentale non è un problema che può essere affrontato solo con terapie individuali o farmaci. Le radici di questo fenomeno sono profondamente intrecciate con le dinamiche sociali e strutturali. L’insicurezza economica, la povertà, l’esclusione sociale sono fattori che alimentano il malessere mentale. La mancanza di prospettive future e di un supporto adeguato genera un senso di impotenza e disperazione in molte persone. Questo ci porta a una conclusione: il disagio mentale è una questione collettiva, che richiede interventi sistemici e un cambiamento profondo del nostro modello di sviluppo e dei valori che guidano la società.

Giornalista: In Italia, quali sono le principali preoccupazioni in termini di salute, e come si posiziona il problema del disagio mentale?

Dott. Antonio Bruno: In Italia, la principale preoccupazione per la salute resta il cancro, indicato dal 56% della popolazione. Tuttavia, anche il disagio mentale ha guadagnato sempre più attenzione, passando dal 18% nel 2020 al 33% attuale. È oggi il secondo problema di salute più sentito dopo il cancro, con un incremento particolarmente significativo tra le donne, che lo percepiscono con una preoccupazione maggiore rispetto agli uomini (+13%). Il disagio mentale, lo stress e l’ansia legati al contesto socio-economico, all’iperconnettività e alla precarietà sono aspetti che non possono più essere ignorati. Se non affrontiamo questi fattori alla radice, ci troveremo di fronte a un aumento esponenziale di persone che soffrono di problemi di salute mentale.

Giornalista: Quali sono, secondo lei, le priorità per affrontare efficacemente questo problema?

Dott. Antonio Bruno: È necessario adottare un approccio integrato e sistemico. Prima di tutto, bisogna potenziare i servizi di salute mentale, garantendo un accesso facile e immediato alle cure per chi ne ha bisogno. Ma questo da solo non basta. Occorre ridurre le disuguaglianze socioeconomiche, garantire la sicurezza sul lavoro e creare condizioni che permettano alle persone di bilanciare vita professionale e personale. In termini più generali, dovremmo ripensare il nostro modello di sviluppo, cercando di privilegiare il benessere collettivo rispetto alla sola ricerca del profitto o del successo individuale. Io è da tempo che ho desiderato di abbandonare la nostra cultura patriarcale della competizione. E’ accaduto in conseguenza l’emergere spontaneo della cultura della collaborazione che non da i problemi di salute mentale.

Giornalista: Il ruolo della prevenzione, quindi, diventa cruciale?

Dott. Antonio Bruno: Assolutamente sì. La prevenzione è fondamentale, soprattutto nelle fasi iniziali della vita. Le scuole, ad esempio, dovrebbero educare i giovani a prendersi cura della propria salute mentale e a gestire lo stress indicando loro di avere la possibilità di desiderare di abbandonare la nostra cultura patriarcale della competizione. Anche le aziende dovrebbero fare la loro parte, promuovendo un ambiente lavorativo più sano, dove il benessere mentale dei dipendenti sia una priorità e conseguentemente abbandonare la ricerca di efficienza e la meritocrazia che è la causa principale delle malattie mentali. Ma la prevenzione richiede anche un cambiamento culturale: dobbiamo abbattere lo stigma che ancora circonda i problemi di salute mentale, perché solo riconoscendo l’importanza del benessere psicologico possiamo creare una società più sana e resiliente.

Giornalista: Un’ultima domanda: qual è il messaggio che vorrebbe lasciare ai nostri lettori?

Dott. Antonio Bruno: Il disagio mentale non è una debolezza individuale, ma un riflesso delle pressioni cui siamo sottoposti quotidianamente. Non dobbiamo avere paura di chiedere aiuto o di parlare dei nostri problemi. È fondamentale creare una rete di supporto, sia a livello familiare che istituzionale, e spingere per un cambiamento culturale che metta al centro il benessere mentale. Solo così potremo affrontare questa sfida in maniera efficace e collettiva.

Giornalista: Grazie, Dott. Bruno, per il suo prezioso contributo.

Dott. Antonio Bruno: Grazie a voi.

 

(*) La Generazione Z è la generazione delle persone nate tra i medio-tardi anni novanta del XX secolo e i primi anni duemiladieci, e i cui membri sono generalmente figli della Generazione X e degli ultimi baby boomer.

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