Il mestiere sancesariano della ricamatrice


Io avevo un amica che faceva questo lavoro, era sempre dietro la porta finestra che dava sulla strada se faceva freddo e fuori se faceva caldo.
Ore e ore con la testa curva sul panno bianco.

Anche mia madre adorava ricamare. Ricordo tutti quei fili di cotone coloratissimi, la carta copiativa che serviva a riportare i disegni che erano sul giornale “Mani di fata” che papà acquistava per lei.
E anche lei dietro alla finestra di casa con la stoffa da ricamare fermata in un cerchio che ricamava. Le mie sorelle avevano i vestitini con i suoi ricami di zucchero.
Molte donne di San Cesario di Lecce erano depositarie di questo prezioso mestiere.
Il ricamo che faceva mia madre poteva consistere in un semplice orlo o in complicati motivi floreali o decorazioni a intreccio e dalle sue mani uscivano: lenzuola, copriletto, tovaglie per il corredo delle mie sorelle.

Su un telaio a cerchio , la mamma sistemava la stoffa da ricamare e con un ago, nella cui cruna era infilato un filo, passava da sopra a sotto e da sotto a sopra la stoffa secondo un ordine prestabilito; apparivano così figure e decorazioni in carattere per lo scopo prefissato.


Poi c’era la ricamatrice al tombolo. Difficile stabilire con esattezza il termine per indicare questo mestiere; molti lo chiamavano “lavoro a tombolo” per la forma cilindrica del grosso cuscino sul quale le donne svolgevano un paziente ed attento lavoro che consisteva nel cucire e nell’intrecciare, inserendolo tra tantissimi spilli, il cotone di vari colori secondo le indicazioni ricevute dal committente e, solitamente, per realizzare dei centri tavolo, delle tende, delle grandi tovaglie e a volte anche dei copriletto. Alla fine del lavoro spesso veniva aggiunto un orlo di completamento che poteva essere assimilato al ricamo già effettuato.

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