Domenico Guarini barone di San Cesario di Lecce costruisce il palazzo ducale


La costruzione del palazzo di San Cesario, come è stato accennato in precedenza, è verosimilmente dovuta a Domenico, barone di San Cesario, signore di Lequile, San Pietro in Lama, Acquarica, Scorrano, Castrignano, Alessano, Poggiardo ecc., della grande Famiglia Guarini, oriunda Normanna e poi diventata Leccese puro sangue, le cui vicende si fondono con la Storia del capoluogo del Salento, dalle origini della Contea, a San Francesco d'Assisi, alla contessa d'Enghien, ai giorni nostri.
— Narra il De Simone, a pag. 206 del suo libro, che: ...« San Francesco, nel 1219, reduce dall'Oriente, venne a Lecce a visitare i suoi discepoli ed alloggiò in una casa donatagli dai Guarini »... Casa che poi divenne la Chiesa di San Francesco della Scarpa (entro l'attuale Liceo Palmieri).
— A pag. 189 dello stesso libro si legge che « il barone Pasquale Guarino, nella sua qualità di « Tutore » di Maria d'Enghien contessa di Lecce; la offre in moglie a Ramondello del Balzo Orsini, contro la volontà di molti leccesi »...
— A pag. 200 dello stesso libro: ...« Il Sacro Regio Provincial Consiglio della Contea di Lecce (Il Concistorium), alla morte del conte Ramondello, e durante la minore età del di lui figlio ed erede Gio. Antonio, era composto dalla madre Maria d'Enghien e da Agostino Guarini e Averardo Paladini »...
— Alla stessa pag. 200: ...« Alla morte di Giov. Antonio del Balzo Orsini, avvenuta nel Castello di Altamura il 15 novembre 1463, il "Concistorium" della Contea, presieduto da Agostino Guarini, ricevé in Lecce, il 16 dicembre dello stesso anno, il re Ferrante I d'Aragona "sotto un palio di seta ricamato in oro" »...             A pag. 201 viene riportata una notazione di Jacopo Antonio Ferrari: ...« Il Re quindi, mosso dalla bellezza e dalla gravità di tal Collegio e dal merito della città di Lecce, a cui si teneva obbligato per tre particolari e gratissimi motivi, » ...« il terzo (il più importante) dei quali era avergli al suo venire presentato un quasi tesoro di vasi d'oro e d'argento, di pietre preziose, di suppellettili preziosissime e di cavalli e seicentomila scudi d'oro, quali aveva nel suo Castello, lì serrati »...
                 A pag. 217 il De Simone aggiunge: ...« Questi seicentomila scudi d'oro, in gran parte di conio della Zecca di Lecce, la scomparsa dei quali nelle capaci tasche dell'Aragonese, spiegherebbesi agevolmente sol che si guardasse come alla politica di Ferrante I era, più che ambizione, necessità di cancellare le tracce dell'onnipotenza di uno dei principali, se non il principalissimo dei baroni che appena nominalmente riconoscevalo re del suo regno »...
Si sa infatti che, i possedimenti di Giov. Antonio, comprendevano sette città arcivescovili, trenta vescovili, e più di trecento castelli: un quasi regno che gli Orsini padre e figlio (Ramondello e Gio. Antonio) vagheggiavano di far giungere fino a Napoli ed oltre.
Queste notazioni di cronaca provinciale richiamano alla mente la nostra Puglia quando non era la regione fuori mano che tutti conoscono, ma la protagonista della Storia dell'Italia Meridionale, e la Contea di Lecce, la sua massima espressione politica, religiosa, culturale, artistica ed economica.
Fondata poco dopo il mille dagli avventurosi Normanni, passata, per successioni femminili, nel duecento ai Brienne, nel trecento ai d'Enghien, nel quattrocento ai Del Balzo Orsini, attinse il suo massimo splendore sotto Maria d'Enghien (1367-1446) ed il suo primo marito Ramondello (morto nel 1406) e diede gli ultimi bagliori sotto il loro figlio Gio. Antonio (1386-1463), ultimo Conte di Lecce.
I Guarini furono, come si è visto, quasi sempre tra i protagonisti della Storia della Contea. ...« Nei primi del seicento — De Simone - Vacca pag. 493 — la Chiesa di San Francesco della Scarpa fu ampliata da Domenico Guarini barone di San Cesario, come prima i suoi antenati avevano edificato la minoritica per i suddetti Padri. In essa vi sono le armi dei Guarini e, dentro il Presbiterio, il loro sepolcro, diritto questo dei soli fondatori »...
Queste frammentarie notizie sulla potente ed illustre famiglia dei Guarini avvalorano la tesi che la costruzione del bel palazzo di San Cesario fu dovuta alla munificenza ed al gusto di Domenico Guarini.
Don Domenico, da buon leccese di Lecce, si è già detto, con la fioritura rinascimental-barocca di Riccardi, Zimbalo ed altri leccesi che aveva sottomano, avrà verosimilmente affidato ad uno di loro od a qualche loro discepolo l'esecuzione del palazzo. Circa la data, tanto il Marti, che il Calvesi - Manieri Elia ed il Guerrieri concordano nel fissarla nel 1626, senza però documentarla. Poco male. Lo « stile » del palazzo è di chiara epoca di transizione tra il Rinascimento ed il Barocco, cioè dei primi del Seicento (come dice il De Giorgi). Tra il piano terreno ed il primo piano si notano le stesse differenze strutturali e decorative che si vedono in Santa Croce, un contrasto originale e gradevolissimo che sintomaticamente denuncia la fine e la nascita di due grandi cicli d'Arte.
Il palazzo ed il feudo furono venduti all'asta, in danno di Giambatlista e Marco Aurelio Guarini, il 2 agosto 1635, ed acquistati, per ducati 37.600, da Don Michele Vaaz de Andrade che ne prese possesso il 25 dello stesso mese con istrumento del Notar Carrapa di Lecce.
L'influenza diretta della grande famiglia Guarini su San Cesario si estinse in meno di un decennio dalla costruzione del palazzo che rappresentò, in un certo senso, il suo canto del cigno. Peccato!

Tratto da Giulio Laudisa, Il Palazzo Ducale di San Cesario di Lecce

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