Maria Grazia Martina scrive di Vito Mortella

Una pittura come sogno: Opere di Vito Mortella

Una pittura come sogno.
Un sogno rincorso, come tutti i poeti, nel rimembrare spazi e tempi obsoleti,
nel turbinio di oggi.
Una finestra dove essere al mondo.
E’ merito di Vituccio l’aver rubato al Tempo l’aura delle cose, intessuta nella tela, dipinta, racchiusa nella dimensione immutabile del quadro.
Il quadro e il libro.
Il quadro come libro narrante, il libro icona nel quadro.
Indissolubili presenze dentro l’immaginario di Vito, alla ricerca di documentare un caro mondo estinto.
Il genius loci della terra salentina in distillata essenza è restituito nella virtualità del dipinto come silenzio aggrottato nelle sopracciglia di sguardi intenti, traslati in gesti calmi, solenni, nell’attesa ricompensa dei raccolti.
Una costanza reiterata negli anni con la stessa ammirazione per un mondo oltrepassato nella modernità, ma intatto nell’affetto.
Al patetico, alla poetica dei buoni sentimenti, Vito Mortella sostituisce l’orgoglio di appartenenza.
Una appartenenza che si traduce in uno stile espressivo sperimentato. Egli ha costruito da sé la propria grammatica che trova riflesso nelle tendenze della pittura “verista”, nel ductus autentico, nella giusta mescolanza di grazia e grezzo, più che negli elogi accademici.
Nella densa materia cromatica il segno del pennello affonda nella tela, spesso di juta mesticata con uno strato di gesso, tale da conferire un corpo al gesto stesso del dipingere, teso a sottolineare la pregnanza del messaggio.
Un quid che le parole non definiscono: dagli umili contadini, ai clown, funamboli sul filo del Tempo, alle fiere Madonne, madri temprate dalla dedizione, i suoi personaggi, impressi nella mente e sulla tela, sfilano con dignità e devozione.


Oggettività simbolica
L’universo pittorico di Vito Mortella è un universo plasmato dalla Natura Terrestre, oggettivata nel provvidenziale lavoro e nella concreta speranza del “ raccolto”.
Si attraversano visivamente le vie battute dalle scuole pittoriche ottocentesche: dal remissivo realismo del pittore francese Jean François Millet (1814-1875), agli antieroici personaggi del macchiaiolo Giovanni Fattori (1825-1908).
Non manca nel suo vocabolario una vena di naïveté, di ingenuo segno surreale, che lo affranca dalla dipendenza dal “vero”, poiché il pittore, poeta del Tempo, compone il suo mondo imbevuto di cromie e condizioni apparentemente incongrue.
Alcune citazioni riguardano i pittori della grande tradizione della “natura morta”, un genere di grande fortuna commerciale affermatosi nel secolo XVII in Italia, in Olanda e nelle Fiandre.
Sono ricorrenti, infatti, echi di Caravaggio (1571-1610) e dell’olandese Johannes Vermeer (1632-1675).
Al primo per aver reso omaggio alla natura morta come “soggetto” autonomo, celebre la Canestra di frutta (1596 ca)della Pinacoteca Ambrosiana a Milano e al secondo per aver conferito una “vera” magica luce alle scene d’interni, ricche di innumerevoli dettagli, basti osservare Il Geografo (1669) conservato a Francoforte, Städelsches Kunst Institut.
Nella produzione di Vito Mortella il genere della natura morta è preminente.
Esso è scelto dall’artista come “alter”, simbolo sì della caducità dell’esistenza, ma anche della peritura bellezza, della forza poetica dell’uomo “aggiunto alla natura” come dice il pittore olandese Vincent Van Gogh (1853-1890).
Si osservino a tal proposito due opere di Vito Mortella dipinte rispettivamente nel 1991 e nel 2001, entrambe senza titolo: due oli su tela conservati l’uno in collezione privata e l’altro nella casa dell’artista.
Su di un piano ravvicinato, la prima opera raffigura, a sinistra quattro libri, un rametto di alloro, un globo in frammenti e a destra un taccuino aperto, una lente, una clessidra, un barattolo di latta per colla e una mela.
Nella seconda sono disposti con effetto trompe l’oeil: due libri, sei limoni,
un vaso fittile, la pignata, un angolo di busta da lettera azzurra affrancata, spunta da sotto al libro, un lembo di tovaglia bianca ricamata ad intaglio.
La prima è finita, mentre la seconda è incompiuta. L’artista gravemente malato non la portò a termine: due dei sei limoni raffigurati sono solo abbozzati.
Esse sono l’evidenza e l’apparenza!
Le due opere mostrano una continuità narrativa e simbolica:
la presenza del libro. Il resto è superfluo.
Riflettendo e decodificando mi addentro nella verità della pittura di Vituccio, in una sorta di ascolto, di un’intima confessione.
Mi appare chiaro come non si tratti di un’accozzaglia di oggetti, scelti e ben disposti o di un piacevole insieme di sapore fiammingo o, ancora, di citazioni che mi riportano al concetto della vanitas o del memento mori…
Al di là di questa epidermica lettura, trovo un significato sommesso,
un messaggio che l’artista rivolge al senso dell’Arte come immagine riflessa del sé.
Non è un caso che il taccuino esibisca il Cubo di Necker, un “banale” gioco ottico sulla percezione e il ricorso al modello fissato, ma anche sull’ambivalenza delle forme configurate.
Ecco che gli oggetti raffigurati, apparentemente riempitivi di uno spazio, dicono della loro, non casuale, presenza.
I quattro libri recano ciascuno un segnalibro di colore diverso, rimanda ai colori dei quattro elementi: giallo/terra, azzurro/aria, rosso/fuoco, verde/acqua.
Dal De rerum natura di Lucrezio ( 96-56 a.C.), dalla Naturalis historia di Plinio (23-79 d.C.) ad oggi, il libro custodisce la Storia, la Filosofia e la Poesia, di contro alla Scienza, la Geometria e la Fisica. Il Tempo e lo Spazio.
Sembra che le due zone del dipinto siano state concepite come un dittico a unione del quale sta il globo infranto, una mappa indecifrata e perduta tra le sopraffazioni, le guerre e il tecnicismo esasperante…
Tutti i dati si caricano dell’esperienza, simboli di raccordo del pensiero parlato e rappresentato.
Nella seconda Natura Morta l’artista sintetizza gli elementi di scena: la narrazione è più leggibile, ma allo stesso tempo ermetica.
I doni della natura, rimembrati nei limoni disposti quasi a cornice dei due libri, materializzano ancora, in ultima istanza, la Storia e la Natura, il Tempo e lo Spazio, l’Uomo e il suo operato.
Due icone racchiuse in uno sguardo sempre vigile e sorvegliato, in una direzione che implica la speranza: il giallo dei limoni – per dirla con Eugenio Montale (1896-1981) – quale correlativo oggettivo della solarità, della luce e della redenzione.
Una preghiera indirizzata (busta blu) alla sofferenza (limoni non dipinti), sua ultima compagna di viaggio.
Maria Grazia Martina
San Cesario di Lecce, 25 luglio 2005 19:47:00
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Vito Mortella (1929-2001) è un pittore affatto sconosciuto nell’hinterland salentino e non solo.
Da autodidatta scopre il piacere della pittura. Giovanissimo si appropria via via di una ricca e consapevole coscienza artistica, attinta dall’osservazione del vero.
Uomo tenace, dimostra decisione, abilità e forbita acquisizione dei mezzi pittorici.
La sua pittura dal vero ritrae grandi sentimenti, dissimulati nelle rughe, negli incarnati terrosi dei suoi contadini: “zolle” indurite dalla fatica come dall’arsura. Uomini e donne dalla non comune resistenza, impaginati nel suo “libro” pittorico.
Nella lunga ed operosa attività di pittore Vito Mortella non ha deviato il suo corso con infatuazioni passeggere, ma è rimasto saldo e fedele ai temi ispiratori della sua poesia figurativa.
Ritratti, paesaggi, scene di lavoro nei campi e di vita domestica, trattati quali tòpoi genuini dell’éthos salentino.
A tali tematiche si accostano soggetti e temi religiosi che completano la sua visione del mondo, intesa quale sincronica presenza dell’Uomo e di Dio nella Natura panteisticamente sentita. Una Natura nella doppia accezione: madre/benefattrice, forza domabile dal religioso rispetto delle sue risorse; e una Natura “creata”, plasmata dall’operosità umana.
Questa la compiutezza dell’opera di Vito Mortella, custode di segni altrimenti destinati a svanire nel flusso infermabile dei mutamenti.

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Bibliografia:
Vito Mortella, Percorsi, Lecce 2004
L’Alambicco di San Cesario Periodico di politica cultura società, Anno IV, n. 3 Luglio 2005.

Comune di San Cesario di Lecce, MemorialDay a 10 anni dalla morte dell’artista, 2001-2011 - Alambicco Maggio 2011.

Gentilissimo Antonio, mi fa piacere che la mia scrittura per l'Artista Vito Mortella del 2005 le sia piaciuta e mi fa anche piacere che mi abbia chiesto se può pubblicarla nel suo blog,  certartamente può farlo. Sono contenta anch'io di condividere.
Magari mi faccia il tag, cosi vedo a visitare il blog


potrebbe aggiungere:

Maria Grazia Martina,  nata a San Cesario di Lecce, è docente di Storia dell'Arte vive e lavora nella provincia di Vicenza. Artista visiva, si occupa di scrittura,  cura  testi critici per autori di poesia e arte figurativa. Ha iniziato il suo percorso creativo interessandosi di critica d’arte, dapprima attraverso un originale "dialogo con l'opera" e successivamente in forma di calligramma e di prosa poetica. E’approdata alla poesia visiva mediante l'elaborazione di un personale segno calligrafico, ha realizzato Libri d’Artista intesi come OperaLibro.
martina.mariagrazia@alice.it 

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