Vito e Stefano Margiotta agricoltori di San Cesario di Lecce

VITO E STEFANO: NEGLI ORTI DELLA CINTURA LECCESE TRA SEMI ORIGINARI E ANTICHE POZZELLE.


Vito e Stefano Margiotta, padre e figlio, sono due agricoltori che coltivano la terra nelle campagne tra San Cesario e Lequile, un comprensorio agricolo a pochi chilometri da Lecce dove l’olivo segna il passo ad una piana di appezzamenti ritagliati nel reticolo delle stradine rurali che collegavano i paesi limitrofi e la Città.

L’esperienza del padre è passata, attraverso l’osservazione e la pratica, a Stefano, giovane ma già molto esperto su tutto ciò che riguarda l’orticoltura e non solo.

Ci accolgono con grande gentilezza e disponibilità in una bella mattina di fine inverno e ci raccontano la storia del “fondo”, sito in zona Pozzelle. Il toponimo deriva da una serie di pozzi che costellano i campi e permettono di utilizzare la preziosissima acqua del sottosuolo. In questa zona particolare, si possono contare più di 10 pozzi per ettaro, in cui l’acqua raggiunge profondità che vanno dai 13 ai 15 metri; sono pozzi scavati a mano,  ciascuno con un nome: quello di un santo, di un albero vicino o il nome di un vecchio proprietario.  Questo sistema di nomenclatura  era utile ai contadini che potevano intendersi tra loro sul lavoro da farsi e sulle diverse “zone” dell’appezzamento, permettendo di definire con maggiore facilità rotazioni ed avvicendamenti colturali.


Vito e Stefano ci raccontano che, essendo questa l’unica area, nelle vicinanze, ad avere l’acqua a disposizione, è stata da sempre vocata all’orticoltura produttiva. Da qui, agli inizi del ‘900, partivano carri pieni di verdure e ortaggi per i mercati della provincia; tutt’oggi rimane una zona a forte capacità nel mercato orticolo. L’acqua però è quella dei pozzi artesiani, la falda freatica si è abbassata drasticamente ed ha perso importanza, l’uso di pesticidi è notevole, i terreni sono stanchi per l’uso intensivo, le varietà coltivate sono quelle maggiormente richieste dal mercato convenzionale; pochi ormai autoproducono le piantine a partire dai semi prodotti dalle piante madri appositamente coltivate e protette; Stefano e Vito lo fanno ancora, con la consapevolezza del valore dato ad un patrimonio genetico custodito da sempre.


Qui, ci dicono, un tempo facevano tutti così, tanto che bisognava stare attenti alle piante scelte per riprodurre il seme perché c’era il rischio che venissero rubate.

Conoscono molto bene le varietà locali e i loro tempi di semina e trapianto: per una produzione scalare, ad esempio, della cicoria di Galatina, occorre seminarla intorno alla festa dei SS Pietro e Paolo, verrà poi messa a dimora due lune dopo, intorno alla celebrazione di San Donato, i primi di agosto.


Anche le rape hanno un fitto calendario di semine e trapianti, che vedono succedersi le varietà “sessantina”, “novantina” (o di San Martino), “natalina” e, infine, quelle “di febbraio – marzo”.

Stefano ci racconta dei differenti periodi di maturazione degli ortaggi condizionati dal luogo di coltivazione. Divide il Salento in 4 zone principali: la più fredda e piovosa è quella intorno a Tricase: qui la maturazione è posteriore; la più calda e secca è la zona di Gallipoli, dove le piante crescono e maturano prima. Ci sono poi la zona centrale e la zona otrantina che sono le più temperate; ma ci sono zone diverse anche a pochi chilometri di distanza, terreni diversi, esposizioni e versanti più o meno umidi, ventosi ecc.. Le tante varietà selezionate, i periodi di semina, le diverse collocazioni dei campi sono il segreto di una produzione su piccola scala ma distribuita nel tempo e sempre attenta alle richieste sempre più genuine dei consumatori.


Un altro elemento importante delle tecniche di coltivazione di Vito e Stefano è, infatti, lo scarso utilizzo di fitofarmaci e la diminuzione dell’uso delle macchine, dove possibile. La maggior parte dei campi vengono coltivati con semina diretta sul filare; con il diradamento delle piantine si ottiene l’ampliamento degli orti e la scalarità di raccolta. Molti lavori vengono svolti a mano o grazie a strumenti assemblati, e il riutilizzo anche di oggetti e materiali di scarto. Nasce così la loro seminatrice, da un imputo di bottiglia ed un pezzo di tubo da irrigazione; la mano ha l’esperienza e la sensibilità giusta per dosare i semi nell’imbuto e distribuire equamente il seme sul terreno.

Vito e Stefano sono un bellissimo esempio di coltivatori-custodi, che continuano a preservare conoscenze agricole e territoriali che oramai in pochi possiedono. Con Stefano possiamo scorgere i caratteri di una nuova generazione di agricoltori, che vede nella sostenibilità un punto imprescindibile della produzione agricola, un sistema capace di unire le conoscenze e le pratiche antiche ad un approccio produttivo concreto ma  rispettoso degli agro ecosistemi e della salubrità di ciò che mangiamo.



Francesco Minonne e Francesca Casaluci

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